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domenica 28 novembre 2010

Un paese senza tempo: il libro di Concita De Gregorio

Berlusconi se l’era dimenticato, di aver chiesto sei miliardi a Bossi. Un po’ perché negli ultimi anni aveva cercato di dimenticarsi Bossi, la sua esistenza. Un po’ perché sei miliardi per uno che ne fattura migliaia sono una cosa ridicola, come il Cavaliere ha avuto modo varie volte di spiegare anche ad alcuni magistrati. Passano di mente. Ma siccome Berlusconi è molto ben organizzato, ha validi collaboratori che gli tengono in ordine le carte ed eccellenti avvocati che gli ricordano gli impegni, ecco che qualcuno, sollecito, ieri mattina di buon’ora gli ha fatto presente l’opportunità di ritirare la querela e la richiesta di risarcimento danni fatta a Bossi due anni fa, tempi in cui i neo-alleati alle imminenti regionali si davano del mafioso e del buffone. Ci vuole un attimo, due righe a penna indirizzate alla Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera, che per l’appunto ieri doveva discutere della vertenza Bossi contro Berlusconi.

«Confermo che ho dato mandato ai miei legali di rinunciare alla causa in oggetto. Sono stato informato in data odierna che le procedure sono in corso. Cordiali saluti. Silvio Berlusconi». Da Arcore, con il dovuto rispetto per i relatori, controrelatori e commissari che da tempo si erano messi a studiare le carte, ciechi ai mirabili sviluppi delle alleanze politiche. Le carte raccontano uno degli infiniti insulti che i due leader si sono scambiati negli anni, dal ribaltone in poi. Era l’8 ottobre del 1998. Nella trasmissione Rai di Gad Lerner, Pinocchio, si parla di elezioni anticipate. Bossi, in collegamento da Vicenza, illustra il suo punto di vista su Berlusconi e sulla Fininvest con queste letterali parole, di cui a dispetto della sintassi si intuisce il senso: «L’abbiamo pubblicato anche sui giornali tutti i dati. è come dire, che so?, che venivano (i soldi, soggetto sottinteso) da cose oscure, da Cosa Nostra, da cose di questo qui».

«Questo qui», Berlusconi, non è in studio. Il 14 dicembre invia al Tribunale una citazione per danni: sei miliardi da Bossi e uno dalla Rai. Bossi si appella all’ immunità parlamentare: richiesta di «insindacabilità» alla Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera. Due anni di attesa, di seguito. Durante i quali l’ episodio Cosa Nostra è stato sopraffatto da quotidiane pirotecniche esibizioni di reciproco disprezzo. «Peronista», diceva Bossi a Berlusconi, e Silvio: «Si riferirà alla birra Peroni, escludo che sappia nulla di Peròn». «Berluscaz», ghignava nei comizi il padano, «Wanna Marchi della politica», gli rispondeva il genio delle televendite. «Mafioso», «cialtrone», «traditore», «analfabeta», poi finalmente, dopo l’ampolla del Dio Po, Berlusconi lapidario: «Non mi siederò mai più a un tavolo con quell’individuo». Le promesse in politica valgono come i soldi del Monopoli. La giustizia purtroppo non è altrettanto elastica.

La causa avviata marcia in silenzio per mesi, anche per anni, ed ecco che torna fuori al momento meno opportuno: «sei miliardi, prego», mentre i due ora sono lì che brindano al reciproco infallibile intuito politico davanti al notaio (col tempo qualcosa s’impara). Ma che sciocchezza, ritiriamo tutto - s’affrettano i due. Nessuno sa rispondere alla domanda se Berlusconi rinunci anche ai soldi della Rai. A quelli dell’amico Bossi di certo.

«A stretto rigore, dunque, questo significa che Berlusconi non si sente più offeso a sentirsi chiamare mafioso», osserva allungando il passo in corridoio il diessino Fabio Mussi. A stretto rigore, sì. (2000)

* * *

Bisognava vederli, essere lì alla recita. Titolo: il caffè della pace, pubblico stanziale: i giornalisti di Montecitorio, interpreti: Berlusconi Fini e le loro code. Berlusconi nella parte dell’ offeso, quello a cui l’ alleato ha detto «incauto», che a ripensarci bene è piuttosto grave. Come: incauto? Il pericolo qual è?, sarà mica quello che scrivono i giornali, che Fini stia lì fermo e muto ad aspettare che Silvio cada da solo? Dunque: Berlusconi offeso, che pretende il caffè riparatore. Fini chiamato da telefonata mattutina (di Berlusconi, appunto) e costretto platealmente ad offrire. Non loquacissimo, non proprio brillante, Fini: dice il dovuto, e stop. I «fratelli De Rege», li chiama la «Velina rossa» della Camera, scritta da mano non amica. Cornice di comprimari: deputati pronti a ridere alle (scarse) battute e Giorgio Rebuffa nel cammeo del genovese che alla fine, guarda la beffa, paga. Un caffè e due cappuccini, per la storia. L’antefatto è che Berlusconi da tre giorni denuncia il clima intimidatorio creato dalla procura di Palermo, Pds alla regìa, per cui non si trovano candidati per Forza Italia: hanno paura. Fini risponde che di attaccare Caselli non se ne parla, il Polo è antimafia: incauto, a dir così, Berlusconi.

Il fatto, questo: prima mattina, giornali sul tavolo, telefonata tra i due. Metà mattina: incontro concordato alla buvette, il bar della Camera. Berlusconi, circondato da trenta cronisti con registratore: «Adesso Fini per rimediare mi paga il caffè e mi mette anche lo zucchero». Fini: sorriso. Berlusconi: «Ce la fai per un cappuccio o puoi pagarmi solo un caffè?» Fini: «Paga Bonaiuti» (portavoce di Berlusconi). Bonaiuti allarga le braccia. Berlusconi: «Nel Polo c’ è la massima concordia. Non si può parlare di pace, perché non c’ è mai stata guerra». Fini, finalmente al punto: «È giusto denunciare un clima che c’ è a Palermo, se si denuncia un clima è un conto, a me avevano riferito che si parlava di interferenze della procura». Ecco, un malinteso. Erano stati i giornali a interpretare male, si sa. Berlusconi: «Non ho mai detto che ci sia stato un intervento di Caselli. E non ho detto che non avremo un candidato. Lo avremo autorevolissimo». Fini, svelto e perfido: «Ma certo, An sarebbe lietissima se si candidasse Enrico La Loggia», il quale, senatore palermitano di Fi, ha già detto che non ci pensa nemmeno a candidarsi, e Fini lo sa. Berlusconi glissa, torna sui giornali poiché non gli esce dalla testa il fondo della mattina sul Corriere che lo dà per finito, malato, isolato: «Siete sordi e ciechi, voi giornalisti, e non potete continuare, perché anche voi finirete per lavorare per la voce del padrone. Scrivete solo di giustizia».

Una voce: presidente, è lei che parla sempre di giustizia, è un’ ossessione... «No, siete voi che amplificate solo quello, io ho la coscienza pulita e ho con me un italiano su quattro, guardate i sondaggi. Stressati siete voi». Fini: sorriso. Berlusconi: «Allora, io prendo due cappuccini. Uno per l’‘incauto’ , e l’ altro per il resto». Il resto? Quale resto? Berlusconi, seguendo un suo filo: «Perché poi quando Puglisi è venuto a dirmi della vicenda di Caselli c’ erano quattro testimoni, nella mia stanza: Miccichè, La Loggia, Di Prima e Querci. Chiedete a loro. Questo per dire: ho detto cose sentite di prima mano, non riferite. Ora- guardando Fini, che sorride - ora, può scappare una battuta, magari a Gianfranco hanno detto che io parlavo di qualcosa che non conoscevo direttamente, e tutto sui giornali diventa tizio che ‘scarica’, caio che ‘sferza’».

I giornali, sì. «Eh la miseria, tutto ingigantito, e poi gli elettori, poverini, possono finire per crederci». Gli elettori, appunto: la recita è per loro alla fine. Fini beve il caffè.

Berlusconi ha fatto sparire il secondo cappuccio: «Ho detto del clima, del clima. Non della procura. Insomma, può darsi che sbagli chi ha pensato di andare prima in Procura, però c’è chi chiede a Del Turco se sono il capo della mafia, poi sono quello che finanzia la mafia, il giorno dopo è la mafia che finanzia me, l’indomani sono quello che ha messo la bomba a Capaci, poi quello della strage di via dei Georgofili. Vi sembra un clima sereno, questo, per fare politica?». Fini, laconico: «Alla Festa dell’Unità dissi a Mussi che quando si usano contro gli avversari politici le parole dei pentiti c’è un clima poco rispettoso dei rapporti reciproci«. Un ‘clima poco rispettoso’ è un po’ meno di quella che Berlusconi chiama ‘intimidazione intollerabile’, ma per oggi può andare. E poi ci sarebbe la Bicamerale, si rammenta Fini: «Non ci saranno divisioni nel Polo, in Bicamerale», annuncia tranquillo mentre al piano di sopra An fa mancare i deputati, il Ccd i voti e passa la linea dell’Ulivo. Fini smania: «Devo partire per la Sicilia, arrivederci a tutti». Berlusconi: «Vai, vai. Attento a non essere incauto». Qui chi paga? Fini: «Paga Rebuffa». Il genovese: «Pago io, pago io. In memoria delle vittorie della Sampdoria sul Milan, ecco». Tremila e cento, il conto. E vai col Milan, che è meglio. (1997)
28 novembre 2010

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