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sabato 4 dicembre 2010

Ciancimino accusa De Gennaro poi si difende: ''Mio padre ce l'aveva con lui''




di Silvia Cordella - 4 dicembre 2010
“Non conosco l'identità del signor Franco. So solo che mio padre lo definiva un ‘ambasciatore’, cioè uno che prendeva ordini da personaggi di spessore istituzionale e che faceva l'intermediario con i poteri forti”. È quanto sostiene oggi Massimo Ciancimino, all’indomani della bufera mediatica scatenata dalle sue dichiarazioni sul capo dei servizi segreti Gianni De Gennaro come persona “vicina” al fantomatico Signor Franco, lo 007 che fin dagli anni ’70 era in stretti rapporti con suo padre e che avrebbe avallato la mediazione di don Vito nella trattativa del ’92, durante il periodo delle stragi.
Ieri la replica di De Gennaro alle accuse di Ciancimino jr. non si è fatta attendere: “Ho dato incarico ai miei legali di sporgere formale denuncia di calunnia contro il Ciancimino”. “Le sue affermazioni mi lasciano del tutto indifferente, tanto evidente è la loro falsità”.
In un primo momento, quando Ciancimino aveva parlato del caso De Gennaro-Franco con i funzionari della polizia giudiziaria era apparso piuttosto sicuro di sé. Interrogato poi dai magistrati della Dda di Caltanissetta proprio su queste rivelazioni il figlio dell’ex sindaco di Palermo le avrebbe ridimensionate affermando che i riferimenti su De Gennaro, come uomo vicino al Signor Franco, gli erano stati trasmessi da suo padre il quale però ce l’aveva con lui per le indagini svolte al fianco del giudice Giovanni Falcone che gli avevano procurato l’arresto. Per il testimone della trattativa dunque le osservazioni di don Vito sull’ex capo della Polizia potrebbero anche essere frutto di illazioni del tutto personali, da cui lui stesso avrebbe preso le distanze. Una contromossa che però non avrebbe convito i magistrati di Caltanissetta che ieri hanno avanzato l’ipotesi di iscrivere nel registro degli indagati Massimo Ciancimino per il reato di calunnia. Una scelta che è stata al centro di una riunione congiunta presso la Direzione Nazionale Antimafia di Roma fra magistrati nisseni e palermitani durante la quale i pm del capoluogo siciliano avrebbero espresso le loro perplessità su una nuova ipotetica incriminazione in quanto il testimone, già indagato a Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa a causa delle sue stesse rivelazioni sul ruolo svolto nella trattativa del ’92, racconterebbe fatti de relato esposti dal genitore. Non è la prima volta che sul caso Ciancimino le Procure di Caltanissetta e Palermo esprimono visioni differenti. Ciononostante, ha fatto sapere il procuratore capo di Palermo Francesco Messineo, non vi sarebbero “scontri o frizioni ma valutazioni non perfettamente sovrapponibili”. “Non si deve assolutamente confondere - ha poi aggiunto il Procuratore - un dibattito con i colleghi o un diverso punto di vista su un'indagine complicata come scontro o contrapposizione. Non sempre le nostre valutazioni sono uguali ma da qui a parlare di scontro ce ne corre...”. Anche il Procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia si è espresso sull’argomento. “Ciancimino – ha detto - è un personaggio sui generis, si sa. La valutazione delle sue dichiarazioni va fatta caso per caso: sono attendibili e apprezzabili quando sono riscontrate e, in alcuni casi, sono state riscontrate”. Inoltre, ha detto Ingroia, bisogna tener presente che “ci sono cose che Ciancimino ha visto e saputo direttamente, in prima persona e altre che ha appreso indirettamente: anche di questo bisogna tener conto”.
La prima volta che il nome dell’attuale responsabile del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza era stato in qualche modo accostato a quello del Signor Franco era in un biglietto manoscritto dell’ex sindaco di Palermo, consegnato la scorsa estate da suo figlio ai magistrati. Si tratterebbe di una lettera risalente ai primi anni Novanta in cui comparirebbero in fila 12 nomi di politici e investigatori come l’ex ministro Franco Restivo, l’ex questore Arnaldo La Barbera, il funzionario del Sisde Bruno Contrada, il generale dell’Arma Delfino  e il funzionario dell’Aisi Lorenzo Narracci. Nella lista spunterebbe anche tale Gross e accanto le iniziali “F/C” (Franco – Carlo, i nomi con cui l’ex sindaco chiamava l’agente segreto) e una freccia che collega questo nome a “De Gennaro”. Da lì le indagini erano partite alla ricerca di un certo Moche Gross, un ex console israeliano, ma alla fine si erano rivelate un buco nell’acqua. La procura nissena e palermitana da tempo aspettano che Ciancimino jr faccia quel nome per intero e alla fine, nell’estenuante ricerca sull’identità del Signor Franco, Massimo Ciancimino avrebbe “stretto il cerchio” indicando nella sfera di possibili conoscenze dello 007 il capo dei servizi segreti Gianni De Gennaro. Oggi Massimo Ciancimino si difende: “Quel nome era emerso durante una conversazione informale tra me e un funzionario della Dia, al momento della restituzione del computer sequestratomi durante le perquisizioni nelle mie abitazioni da parte della Dda di Caltanissetta”. Il dialogo sarebbe poi stato riportato dal funzionario in una relazione di servizio consegnata proprio ai pm nisseni che hanno immediatamente convocato il superteste per saperne di più. “Io non conosco il Signor Franco”, ha ribadito alla stampa il figlio di don Vito ma ciò che “so è che non aveva potere decisionale”. “Ogni volta che parlava con mio padre non decideva mai in seduta stante ma andava via e poi quando tornava comunicava le risoluzioni da adottare”. È chiaro quindi che si doveva interfacciare con un “interlocutore di più alto grado”. “E comunque - ha spiegato - solo chi non vuole vedere può non cogliere un collegamento tra certe cose. Ad esempio tra il fatto che mio padre venne arrestato nel '92 e nel 2002 e la sua casa non fu mai perquisita, che il ‘papello’ non è stato trovato fin quando io non l'ho consegnato e che io stesso fui avvisato un mese prima che Provenzano sarebbe stato arrestato”. “È confortante per tutti - ha continuato Ciancimino - pensare che non ci siano regie superiori, che tutto sia casuale… i ricordi dopo anni di Martelli, la decisione di Conso di togliere il 41 bis ai mafiosi”. Ma questa “è una visione miope”. “Io credo - ha concluso - che sia chiaro a tutti che è impossibile che pecorai come Riina e Provenzano abbiano condizionato la vita economica e sociale di questo Paese per 40 anni. E come non chiedersi perchè Falcone e Borsellino, che facevano indagini di mafia da anni, sono stati uccisi proprio nel '92”.

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