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sabato 4 dicembre 2010

Coco Trovato, i clan comandano a Lecco

Da imprenditore alla politica, un boss capace di uccidere se qualcuno lo saluta storto
Il boss della 'ndrangheta Franco Coco Trovato
Cavaliere del lavoro e killer feroce. Trafficante di droga e imprenditore rispettato. Questo è Franco Coco Trovato. Boss in doppiopetto che per oltre trent’anni ha governato gli affari della ‘ndrangheta tra Milano e Lecco. Classe ‘47, originario di Marcedusa (Catanzaro), in Lombardia ci arriva negli anni Sessanta. “Ho conosciuto Franco Coco nel 1969 – racconta il pentito Antonio Zagari – , frequentava la casa di mio padre a Buguggiate. Entrò a far parte di un gruppo di rapinatori legati alla ‘ndrangheta”. Pochi anni dopo, Trovato è già un pezzo da novanta con entrature privilegiate nel mondo della malavita. A San Vittore conosce boss di rispetto come Angelo Epaminonda e il catanese Jimmy Miano.

Quando esce può permettersi di sedersi ai tavoli della politica locale, ma anche di uccidere a sangue freddo. Lo racconta il pentito Salvatore Annacondia, detto ‘manomozza’: “Ciro dava del bugiardo a Coco. A quel punto, si era imbestialito e gli aveva esploso un colpo di pistola alla testa. Coco, ancora con rabbia, mi descrisse come Ciro lo aveva fatto imbestialire con quel suo doppio taglio di capelli”. La vittima è Ciro Batti. Affiliato all’omonimo clan di camorra, il suo è uno dei quattordici omicidi che dal giugno al dicembre del 1990 insanguinano le strade di Milano. È guerra di mafia a tutti gli effetti. La famiglia Batti verrà sterminata in pochi mesi. Coco, però, non agisce da solo. Il suo braccio destro è un calabrese guascone innamorato delle giacche a quadretti e delle armi. Si chiama Giuseppe Flachi. Ma tutti lo conoscono come don Pepè. Il loro è un trust criminale nato ai tavoli del ristorante Il Griso sul lago di Como. È il primo luglio 1987. Data in cui si celebrano le nozze di Flachi. Padrino all’altare è Trovato, il quale, durante il ricevimento, ha un battibecco con un luogotenente di don Pepè. Dirà: “Devi ringraziare a Gesù Cristo che è la festa del mio compare altrimenti ti avrei ammazzato come un cane”. L’altro risponde. La scena si conclude con il duo Trovato-Flachi in giro per le strade della Comasina a bordo di una Ferrari. Indossano abiti in doppiopetto, ma sotto hanno la pistola con il colpo in canna. Cercano il tizio. Non lo troveranno. Per lui, però, l’esecuzione è solo rimandata. La chiosa alla vicenda la fa sempre Annacondia: “Coco è un pazzo, capace di uccidere solo perché qualcuno lo saluta storto”.

Lui, in curriculum può mettere anche il matrimonio tra la figlia Giuseppina e Carmine De Stefano, figlio del defunto boss di Reggio Calabria Paolino De Stefano. Dopodiché ci sono gli affari. Quelli passati, tutti giocati nel campo della ristorazione, e quelli presenti, nonostante il padrino si trovi ergastolano al 41 bis. Al boss imprenditore piace investire nei locali. Negli anni Ottanta erano bar e pizzerie del lecchese, oggi, nel borsino della sua cosca, ci stanno i locali della movida milanese. Coco Trovato ordina, altri eseguono. E tra gli altri c’è Vincenzo Falzetta detto ‘banana’. Di lui si è occupato la Guardia di finanza di Milano. Nel 2006 il Gico, agli ordini del colonnello Domenico Grimaldi, ha scoperto i suoi affari nei locali di via Valtellina e dell’Idroscalo. Affari milionari che incrociano la politica. Capita nel 2004 quando la cosca ha qualche problema di licenza con la discoteca dell’Idroscalo. Della cosa viene informato in carcere il fratello di Coco Trovato che subito fa sapere: “Non ci sono problemi” perché “la Provincia ce l’ha in mano la sinistra, prima c’era la Colli che era di Berlusconi”, ma ora “abbiamo la possibilità”.

Da Il Fatto Quotidiano del 3 dicembre 2010

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