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sabato 18 dicembre 2010

Giuseppe Borsellino: orgoglio dell'Italia del riscatto

di Serena Verrecchia - 18 dicembre 2010
Ciao Benny, un altro anno è passato.
La sensazione è che siamo sempre più vicini alla verità anche se ancora
non sappiamo quanto tempo, quanta rabbia, quanto dolore dovremo vedere passare prima di poterla assaporare veramente.

 Il ricordo di Serena, nata nel 93, dopo la morte dei tuoi cari, ci da la forza di sperare che un pezzo di loro, non solo è ancora dentro di noi, ma non morirà fino a che giustizia non verrà fatta. Lei, forse, non è in grado di capire quanto questo post sia importante. Ci aveva chiesto, se tu ne avessi fatto uno tuo, di cancellare il suo per darti spazio....
Ma è grazie a lei ed a i ragazzi come lei che sappiamo che il sacrificio di tuo zio Paolo e di tuo nonno Peppe non è stato vano.
Così come è grazie a te che loro, in qualche modo, sono ancora vivi.


Di seguito il ricordo di Serena e, in fondo, il post sul tuo blog del 6 Luglio di quest'anno con il commento di tua madre.

Di famiglia siciliana, nacque a Lucca Sicula il 15 febbraio 1938. Fu costretto dal mondo e dalle situazioni a maturare in fretta e iniziò a lavorare giovanissimo, mettendo su famiglia a soli 18 anni. Aveva tre figli, Antonella, Pasquale e colui che condivise il suo destino, Paolo, insieme al quale gestì, nell'ultima parte della sua vita, una piccola impresa di calcestruzzo. Paolo e Giuseppe erano uomini coraggiosi, uomini d'onore veri, lavoratori che credevano nel significato profondo del sacrificio che si compie ogni mattina quando ci si sveglia presto per andare ad aprire le saracinesche della propria impresa, costruita non con la bacchetta magica, ma col sudore e con lo sforzo. Loro non guadagnavano intimidendo le persone e rifiutandosi di fare qualsiasi sorta di sacrificio. È questa la profonda differenza che intercorre tra uomini e i cosiddetti uomini d'onore: da una parte Paolo e Giuseppe, che ricavavano i propri soldi da un lavoro più che onesto, lavorando ogni giorno, difendendo la propria Libertà e i propri inviolabili e sacro santi diritti; dall'altra parte l'angheria, l'ingiustizia, l'imposizione, la forza bruta della mafia che conquista consensi e soldi con il ricatto, con le minacce, con le richieste di pizzo.
 
Il 21 aprile del 1992 Paolo Borsellino venne ucciso dai killer di Cosa nostra che non erano riusciti a piegarlo alle proprie richieste. Nonostante la nemesi della mafia e la rappresaglia nei confronti di tutti coloro che non piegavano la testa davanti alle angherie della criminalità, Giuseppe non si arrese; al contrario, era più determinato di prima e altresì più convinto che la battaglia che stava portando avanti non solo rappresentasse l'embrione del riscatto della società civile alle richieste di pizzo della mafia, ma poneva le basi nella profonda convinzione che la Giustizia debba trionfare sempre su tutto, affinché “il fresco profumo di libertà” possa inebriare la voglia di legalità di un intero popolo che non riesce a ribellarsi alla soperchieria della criminalità. Giuseppe Borsellino si presentò davanti ai magistrati e fece nomi e cognomi dei mandanti e degli assassini di suo figlio. Per questa impavida spavalderia e per il coraggio con il quale stava portando avanti i suoi ideali, Giuseppe Borsellino fu ucciso, il 17 dicembre del 1992, meno di otto mesi dopo la scomparsa del figlio.
 
Quando sentii parlare per la prima volta di quest'uomo, lo collegai immediatamente al giudice Paolo Borsellino, convinta che fosse un suo parente; mi dissero invece che non era accomunato da alcun legame di parentela con il giudice simbolo dell'antimafia. Presi atto della cosa, eppure non riuscivo a distaccare queste due figure: quando sentivo parlare dell'imprenditore di Lucca Sicula pensavo subito a Paolo Borsellino e viceversa. Poi ho capito che Giuseppe e Paolo non sono affatto due persone diverse, ma hanno davvero tanto in comune. Non riuscivo a rompere il legame che c'è tra loro semplicemente per il fatto che il vincolo di cui parliamo andava ben al di là dei vincoli di parentela. Esso accomunava le storie di due grandi eroi del nostro tempo, due storie che ci consentono ancora di poter dire “Io resto perché sono Italiano. Io resto perché Paolo e Giuseppe Borsellino erano Italiani e hanno combattuto e sono morti non per il ricatto, ma per il riscatto di questo Paese”.

Serena Verrecchia


martedì 6 luglio 2010

Un ricordo di mio nonno e mio zio

 
Pubblico, con un pizzico di commozione, questo ricordo di mio nonno e di mio zio, Giuseppe e Paolo Borsellino, che un loro compaesano mi ha spedito via mail. Nonostante la delegittimazione subita dopo la morte, ancora c'è qualcuno che ha il coraggio di raccontare chi erano davvero.

Caro Benny, vedere le foto nel sito di Paolo e dello "zu" Peppe mi hanno commosso profondamente, mi hanno riportato alla mente la spensieratezza della prima adolescenza. Mi hanno ricordato i coni gelato alla granita del bar di tuo nonno consumati all'ombra degli alberi della villetta con la statua della primavera.

Ricordo il camion carico di sabbia scaricato dallo zio Peppe davanti la porta di casa per i soliti lavoretti di manutenzione cui mio padre, seppur contadino, si prestava
con una buona manualità. Ricordo tuo zio che era più grande di noi e che ascoltavamo scherzare con gli altri ragazzi più grandi da Totò dell'officina. Lo scherzo si alternava con qualche imprecazione per i contrattempi, i guasti e le seccature che il lavoro con i vecchi camion comportava. Quella era la Lucca Sicula della mia adolescenza che per gli adolescenti è sempre piena di avventure con le ragazzine e scorribande di ragazzi.

La sera che hanno ucciso tuo zio Paolo noi eravamo seduti sugli scalini del viale e ancora ricordo lo sgomento e l'incredulità che si sono diffusi in piazza. Non sembrava possibile che un giovane padre di famiglia, sorridente e scherzoso, nonostante i debiti e le fatiche, fosse stato ucciso in quel modo orribile. Lucca
Sicula da quel giorno non è stata più la stessa, almeno per me e per molti dei ragazzi della nostra compagnia.

Ricordo benissimo tuo nonno Peppe vestito di nero, con la barba lunga e la morte negli occhi. Ricordo come sia invecchiato di dieci anni in pochi giorni. La sua fine l'ho sentita raccontare in frammenti da alcuni che hanno avuto la sventura di assistervi ricordandola sempre con un senso di terrore indelebile. Da quel giorno il terrore mafioso si è scatenato nel territorio, sono innumerevoli gli episodi di intimidazione subiti dai contadini nelle loro campagne, per non parlare dei numerosi furti di mezzi agricoli subiti in silenzio.

Caro Benny, a Lucca molti volevano bene a tuo zio e a tuo nonno. E' per colpa di alcuni mostri e di molti vigliacchi che è stata così
cruenta la loro fine. Questa nostra Sicilia è una terra bella ma terribile, tutti in paese e nei dintorni conoscevano i tuoi cari e sapevano che erano brave persone, miti e laboriose.

[...] I lucchesi, tanti ma non tutti, purtroppo, sono gente perbene e grandi lavoratori. Se vi siete sentiti abbandonati non è stato per malevolenza o indifferenza ma per puro terrore. La strage mafiosa dei vostri cari ha sprofondato il paese nel terrore. Oggi sono genitore di due bambine e spero di educarle ai valori in cui io credo: giustizia sociale e libertà. Sembrano cose scontate ma la
lotta per farli affermare in Sicilia è titanica. Stiamo sprofondando, sia a livello economico che sociale e la classe politica che ci rappresenta sembra brancolare nel buio. C'è di buono che la lotta alla mafia, grazie all'impegno di molti magistrati e agenti delle forze dell'ordine, ha fatto grandi progressi. Mai come oggi la mafia è stata così debole. Sono guardinghi e hanno paura. Se si facessero massicci investimenti governativi sulle dotazioni organiche delle procure e delle forze dell'ordine questo malefico fenomeno potrebbe anche essere debellato. Ma non se ne fanno, come mai?

La memoria ritorna alla Lucca Sicula dell'adolescenza quando una sera vidi alcuni soggetti in odor di mafia attaccare i manifesti di un partito che non sembrava un partito. Ricordo un amico che esclamò - "ma chi minchia 'mpicicanu au muru? chi c'è scritto... forza chi?". Sembrava una burla, ma ha cambiato lastoria d'Italia.

[...] Concludendo, sono contento e commosso per questo sito. E' importante ricordare i cari Paolo e lo zu Peppe Borsellino (come lo chiamavamo quando andavamo ad acquistare, con i pochi spiccioli di cui disponevamo, un cono, una granita o un cartoccio con la crema gialla) sia come vittime dell'orrore mafioso ma sopratutto come le brave persone che tutti conoscevano e tutti rispettavano.

Con affetto, anche se non ci siamo mai incontrati, ti porgo i più affettuosi saluti e i più sentiti auguri.

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