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lunedì 13 dicembre 2010

La ritorsione della mafia serba contro i giudici antimafia uruguaiani

di Jean Georges Almendras - 12 dicembre 2010Il rischio era prevedibile non appena fossero divenute operative le due nuove sedi giudiziarie specializzate in Crimine Organizzato nella capitale del territorio uruguaiano, Montevideo, inaugurate a febbraio del 2009.

Era evidentemente impossibile pensare che le mafie operanti nella nostra regione avrebbero visto di buon occhio il lavoro dei titolari delle due sedi nuove di zecca: la dottoressa Graciela Gatti ed il dottore Jorge Díaz e dei loro rispettivi pubblici ministeri. Perciò con il passare dei mesi, durante i quali si sono intensificate le operazioni contro il narcotraffico e sono state sequestrate ingenti partite di droga, sicuramente non poche volte i magistrati ed i loro più stretti collaboratori e familiari avranno valutato i rischi cui si stavano esponendo. Un rischio latente, percepito con sempre maggiore intensità ed in solitudine. Un rischio che ironicamente non era stato considerato dai vertici dello Stato uruguaiano, motivo per cui non era stata assegnata ai giudici Gatti e Díaz alcun tipo di protezione. Una situazione che fortunatamente è cambiata. 
In effetti, la mattina del sabato 20 novembre la stampa di Montevideo ha diffuso una notizia che, seppur non ufficiale, poteva considerarsi veritiera a giudicare dall’autorevolezza delle fonti di provenienza. La notizia riguardava il rafforzamento della custodia personale del giudice specializzato in Crimine Organizzato Graciela Gatti e del pubblico ministero della stessa sede, la dottoressa Mónica Ferrero, giudicando attendibile il rischio di una rappresaglia da parte della mafia serba. Alla quale era stato inflitto un duro colpo il 15 ottobre del 2009 con il sequestro di 2 tonnellate e 174 chili di cocaina a bordo di un yacht, con l’arresto di un cittadino serbo-croato identificato come Anastasidi Martinsik, e con ordine di cattura locale ed internazionale per quattro cittadini serbi facenti parte di una rete di narcotraffico che operava in Uruguay, Argentina e Brasile, con base operativa in Serbia. Il boss dell’organizzazione, il serbo Darko Saric, dopo l’operazione nella zona di Santiago Vázquez, ha avuto l'audacia di minacciare di morte il presidente della Repubblica Serba, ragion per cui i servizi di sicurezza di quella nazione hanno adottato estreme misure di sicurezza nel territorio. Una prova evidente del fatto che il colpo inflitto al gruppo criminale era stato di un’intensità inimmaginabile, generando inevitabili sentimenti di rappresaglia in contrasto con l’altrettanto inevitabile sentimento del dovere compiuto dal versante della legge. Una delle code del furioso drago serbo era stata tagliata proprio in Uruguay, ed era quindi prevedibile che le conseguenze nel sotto mondo della droga sarebbero state importanti. Non bisogna dimenticare che il giudice specializzato in crimine organizzato in Serbia accusa Darko Saric ed altri 19 appartenenti alla rete criminale, di trafficare importanti quantità di cocaina tra l’Europa occidentale e l’America Latina, stimandosi che il gruppo criminale ha raggiunto i 6.000 milioni di dollari di guadagni netti per questo tipo di operazioni. 
"Siamo in situazione di allarme”, ha dichiarato a Ultimas Noticias un portavoce delle forze di sicurezza di Montevideo riferendosi al rafforzamento della custodia personale del giudice Gatti e del pubblico ministero Ferrero, non scartando l’ipotesi di un’estensione di questa misura verso altri funzionari. Di fatto, al momento di redigere questo articolo, i giudici Gatti e Ferrero hanno la scorta 24 ore su 24. I loro spostamenti a Montevideo o nelle zone interne avverranno in veicoli blindati.
Il servizio di scorta è stato affidato al Dipartimento di Operazioni Speciali (DOE) e a personale dei servizi di intelligence del Potere Esecutivo del Ministero dell'Interno. Nonostante la segretezza imperante, è facile immaginare che le abitudini dei giudici Gatti e Ferrero sono cambiate notevolmente, tanto a livello lavorativo quanto familiare. Uomini armati tutelano la loro incolumità perché esiste un "rischio certo" che entrambe siano sotto la mira della mafia serba, per il solo fatto di avere svolto il proprio dovere: prima per aver smantellato un’operazione che avrebbe portato in territorio uruguaiano 2 tonnellate e 174 chili di cocaina, poi per aver arrestato un cittadino serbo implicato nel traffico del voluminoso carico di cocaina, e infine per lo smantellamento di tutta la rete criminale coinvolta nell’affare, che si stima procedesse dalla Bolivia o dalla Colombia.
Come già riferito in un precedente articolo, l'operazione anti narcotraffico di cui ci stiamo occupando è stata denominata "Guerrieri dei Balcani” e le indagini erano a carico della Direzione Investigativa della Prefettura Nazionale Navale (DIVIN), in collaborazione con la DEA che ha fornito le informazioni. 
I comandi della DIVIN, due mesi prima, erano entrati in possesso di dati molto precisi su un'operazione di riciclaggio di denaro, informazione consegnata al giudice Graciela Gatti che ha quindi disposto pedinamenti e sorveglianza discreta, coordinandosi per le operazioni con le autorità argentine, statunitensi ed europee, al fine di determinare la portata dell’operazione di riciclaggio per riuscire a neutralizzarla. 
In una conferenza stampa le autorità della Prefettura Nazionale Navale hanno spiegato le caratteristiche dell'operazione e dello smantellamento di questa rete di narcotraffico, con base in Serbia. Il 15 ottobre si era ormai certi che sullo yacht battente bandiera britannica di nome Mauí - imbarcazione acquistata a Piriápolis, dipartimento di Maldonado e valutato in 250 mila dollari- c’era un voluminoso quantitativo di cocaina destinato al mercato Europeo. Sono quindi state adottate le misure opportune allo sbocco del fiume Santa Lucía e appena lo yacht si è addentrato nel settore di imbarco della località di Santiago Vázquez, nella tempestosa notte del 14 ottobre, è scattata l’operazione con lo spiegamento dei gruppi speciali. Effettivamente c’era la cocaina nello yacht: circa 2.174 chili distribuiti in cinquantacinque borse, per un valore, una volta commercializzata in Europa occidentale, stimato in circa 108,7 milioni di dollari. 
Col passare delle ore tutti gli abitanti di Montevideo ed i residenti della regione e del mondo intero, nonché la stampa, apprendevano del colpo inflitto al narcotraffico serbo, mentre  contemporaneamente il giudice Graciela Gatti iniziava l’istruttoria che avrebbe portato in prigione il cittadino serbo-croato Anastasidi Martinsik, decretando invece la libertà di un cittadino uruguaiano fermato, per non avere trovato prove della sua implicazione.
Le prime fasi dell'investigazione hanno fatto emergere che i trafficanti erano arrivati in Uruguay ad aprile e avevano acquistato lo yacht pagandolo in contante. È filtrato inoltre, nonostante il riserbo per non intralciare le indagini, che la rete del narcotraffico aveva la sua base nella città di Buenos Aires, dove aveva acquistato costosi appartamenti nei quartieri di Palermo, Belgrano, Nuñez e Porto Madero. Un’operazione, quasi simultanea a quella messa in atto a Montevideo, attuata dalla Polizia Federale, ha portato al sequestro di camioncini Land Rover, attrezzatura per comunicazione e sorveglianza ad alta tecnologia. È emerso inoltre che un'altra delle basi operative scelte dall'organizzazione si trovava in territorio brasiliano, esattamente a San Pablo, e che l'individuo sotto processo a Montevideo, era entrato in Uruguay in veste di un avvocato croato, dirigente di una multinazionale. 
Dalle indagini svolte dalla Polizia Federale e dal giudice argentino Marcelo Aguinksy, i trafficanti si disponevano ad imbarcare le due tonnellate di cocaina in alto mare, sicuramente su una nave da carico in rotta verso l'Europa. Al porto di Buenos Aires l’intero carico sarebbe diventato legale. Ovviamente, la Polizia Federale argentina ritiene che l'equipaggio della nave in questione era complice dell'organizzazione. Gli investigatori di Montevideo avevano dedotto che il trasbordo in alto mare sarebbe avvenuto il fine settimana precedente al giorno 15 di ottobre ma il sorprendente temporale che colpì la regione, in special modo l'estuario del Rio de la Plata, fece saltare i piani del gruppo criminale, obbligando lo yacht "Mauí" ad attraccare al porto di Piriápolis e successivamente  all'imbarcadero per yacht a Santiago Vázquez, giusto nel preciso momento in cui la maggior parte dei montevideani, nonostante il temporale, assisteva alla partita di calcio tra l'Argentina e l’Uruguay nello stadio Centenario. Nonostante il cambiamento dei piani, per i trafficanti l’inclemenza del tempo e la partita di calcio diventavano condizioni favorevoli, perché l'imbarcazione ed il suo equipaggio non avrebbero destato sospetti per alcune ore. Ma non è stato così. L'equipaggio ha abbandonato lo yacht e poco dopo è entrato in azione il reparto speciale della Prefettura Nazionale Navale, sotto il comando dei membri del DIVIN. Per l'organizzazione criminale era il principio della fine: le oltre due tonnellate di cocaina pura, lo yacht e tutto ciò che potesse essere compromettente è stato sequestrato dalla giustizia.
I giudici incaricati delle indagini hanno proceduto inoltre al sequestro di un veliero a Piriápolis, un camioncino e la somma di 300 mila euro. Da ricordare che mesi addietro, nello stesso stabilimento balneare dell’Est uruguaiano, uno dei serbi coinvolti - l'unico in carcere – aveva comprato lo yacht in contante lasciando attonito il suo proprietario per la celerità con cui si era svolta la vendita. Il venditore non poteva mai immaginare che lo yacht ereditato dal padre -e che non gli era stato facile vendere- sarebbe stato usato per un colpo del crimine organizzato serbo operativo in Uruguay. In realtà, le modalità della vendita dello yacht avevano suscitato i sospetti delle autorità navali ed in particolare degli uomini della Direzione Investigativa della Prefettura Nazionale Navale, allertando della situazione il giudice Graciela Gatti. Da quel momento in poi tanto lei come le autorità navali avevano iniziato i lavori di vigilanza e controllo, sempre seguendo l’ipotesi di trovarsi di fronte ad un’operazione di riciclaggio di denaro sporco, presumibilmente relazionato col traffico di cocaina. Un’ipotesi di lavoro sbocciata in uno dei casi più clamorosi di smantellamento di una rete di narcotraffico internazionale ben radicata nel Cono Meridionale.  
Senza alcun dubbio i giudici Gatti e Ferrero, con il loro lavoro onesto e leale verso la carica che rivestono, hanno inflitto un colpo brutale ad una potente organizzazione criminale capeggiata da ex membri dei servizi di intelligence serbi, alcuni dei quali sono stati fermati nel proprio paese, mentre invece altri sono ancora latitanti, come il capo supremo, Darko Saric.  
Senza alcun dubbio si è trattato del maggior quantitativo di droga sequestrato sotto il governo di Tabaré Vázquez e in tutta la storia dell'Uruguay. Precedentemente, nel 2007, la Direzione Nazionale di Repressione del Traffico Illecito di Droghe, diretto dall'Ispettore Julio Guarteche - attuale Direttore Nazionale di Polizia - aveva sequestrato nel dipartimento di Salto, a nord del paese, un carico di mezza tonnellata. Sono stati sequestrati molti altri quantitativi seppur meno consistenti.
Durante una riunione con il magistrato Graciela Gatti in un ristorante di Carrasco, a metà di quest’anno, abbiamo parlato precisamente della necessità della scorta per lei e il suo collega Jorge Díaz –pienamente condivisa da me e dal nostro direttore Giorgio Bongiovanni.
In quella occasione abbiamo parlato dei rischi che l’espansione del crimine organizzato rappresenta per la società. Abbiamo scambiato idee e piani per neutralizzarlo e combatterlo; abbiamo ricordato insieme i giudici assassinati da Cosa Nostra all'inizio degli anni ‘90, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, due magistrati diventati punti di riferimento nel mondo nella lotta alla mafia; abbiamo parlato dei nostri rispettivi lavori, come giudici e giornalisti; dei rischi ai quali sono esposti i funzionari pubblici dell'Uruguay impegnati a contrastare i gruppi criminali, specialmente del narcotraffico, sottolineando che solo uniti, protetti ed insieme, è possibile resistere contro la mafia, dentro e fuori del territorio uruguaiano. In definitiva, formiamo un fronte comune per portare avanti la lotta alle mafie. È stato un incontro positivo ed armonioso, tendente a serrare i ranghi contro la criminalità e la corruzione.
Da tutta la redazione uruguaiana, argentina ed italiana di Antimafiaduemila, tutto il nostro appoggio e solidarietà a voi, dottori Graciela Gatti e Mónica Ferrero.

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