''Chiedo perdono alla famiglia del piccolo Giuseppe Di Matteo e a tutta la società civile che abbiamo violentato e oltraggiato''. Lo ha detto, visibilmente commosso, il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, deponendo al processo per il sequestro e l'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, quando si è rivolto ai familiari del bambino e alla Corte d'assise. Giuseppe Di Matteo venne rapito nel 1993 per indurre il padre Santino, pentito, a ritrattare le sue accuse. I mafiosi lo chiusero in un Fiorino legandolo "come un animale". Dopo circa 3 anni di prigionia, 779 giorni, il bambino venne strangolato e sciolto nell'acido.
''Noi siamo moralmente responsabili - ha aggiunto Spatuzza - della fine di quel bellissimo angelo a cui abbiamo stroncato la vita. Anche se non l'abbiamo ucciso io e i miei coimputati siamo colpevoli del sequestro, ma anche della morte del ragazzino e ne daremo conto, non solo in questa vita, ma anche domani dove troveremo qualcuno ad aspettarci''.
Spatuzza, mai indagato per il rapimento, che avvenne ad Altofonte a novembre 1993, si è autoaccusato di aver partecipato alle prime fasi del sequestro e ha coinvolto Graviano e gli altri imputati consentendo l'apertura del nuovo processo per la vicenda del piccolo Di Matteo. Altri due dibattimenti sono stati celebrati a carico di capimafia e carcerieri.
''L'abbiamo legato come un animale e l'abbiamo lasciato nel cassone di un furgoncino Fiorino. Lui piangeva, siamo tornati indietro perché ci è uscita fuori quel poco di umanità che ancora avevamo”, racconta Spatuzza riepilogando le drammatiche fasi del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del collaboratore di giustizia, Santino, rapito il 23 novembre del 1993 e ucciso 779 giorni dopo. Una volta sequestrato, il ragazzo venne portato a Lascari dove il gruppo di fuoco di Spatuzza lo lasciò ai mafiosi che si sarebbero dovuti occupare di nasconderlo. Ma i carcerieri non erano pronti a prenderlo in consegna e dissero a Spatuzza e al boss Cristoforo Cannella di lasciarlo in un Fiorino, legato, in un magazzino a Lascari. Spatuzza e gli altri però non volevano. ''Ne è nata una discussione con Cannella - ha detto - ma alla fine obbedimmo”. Il bambino, terrorizzato, piangeva. ''Ci chiamò dicendo che doveva andare in bagno - ha aggiunto - ma non era vero. Aveva solo paura. Allora tornammo indietro per rassicurarlo e gli dicemmo che ci saremmo rivisti all'indomani, invece non lo rivedemmo mai più''.
''Noi siamo moralmente responsabili - ha aggiunto Spatuzza - della fine di quel bellissimo angelo a cui abbiamo stroncato la vita. Anche se non l'abbiamo ucciso io e i miei coimputati siamo colpevoli del sequestro, ma anche della morte del ragazzino e ne daremo conto, non solo in questa vita, ma anche domani dove troveremo qualcuno ad aspettarci''.
Spatuzza, mai indagato per il rapimento, che avvenne ad Altofonte a novembre 1993, si è autoaccusato di aver partecipato alle prime fasi del sequestro e ha coinvolto Graviano e gli altri imputati consentendo l'apertura del nuovo processo per la vicenda del piccolo Di Matteo. Altri due dibattimenti sono stati celebrati a carico di capimafia e carcerieri.
''L'abbiamo legato come un animale e l'abbiamo lasciato nel cassone di un furgoncino Fiorino. Lui piangeva, siamo tornati indietro perché ci è uscita fuori quel poco di umanità che ancora avevamo”, racconta Spatuzza riepilogando le drammatiche fasi del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del collaboratore di giustizia, Santino, rapito il 23 novembre del 1993 e ucciso 779 giorni dopo. Una volta sequestrato, il ragazzo venne portato a Lascari dove il gruppo di fuoco di Spatuzza lo lasciò ai mafiosi che si sarebbero dovuti occupare di nasconderlo. Ma i carcerieri non erano pronti a prenderlo in consegna e dissero a Spatuzza e al boss Cristoforo Cannella di lasciarlo in un Fiorino, legato, in un magazzino a Lascari. Spatuzza e gli altri però non volevano. ''Ne è nata una discussione con Cannella - ha detto - ma alla fine obbedimmo”. Il bambino, terrorizzato, piangeva. ''Ci chiamò dicendo che doveva andare in bagno - ha aggiunto - ma non era vero. Aveva solo paura. Allora tornammo indietro per rassicurarlo e gli dicemmo che ci saremmo rivisti all'indomani, invece non lo rivedemmo mai più''.
2 dicembre 2010
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