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domenica 9 gennaio 2011

La strage di Alcamo Marina: dietro il crocevia segreto dei contatti tra mafia e pezzi dello Stato

di Rino Giacalone - 8 gennaio 2011
Trapani.
C’è una nuova confessione che è entrata nelle indagini riaperte sulla strage di Alcamo Marina del 1976, quando dentro una casermetta dei Carabinieri furono uccisi due militari dell’Arma che erano lì comandati di servizio.
A quasi 35 anni dalla loro barbara uccisione (27 gennaio 1976) c’è il processo contro uno dei condannati per quella strage, Giuseppe Gulotta che è ripartito dinanzi la Corte di Assise di Reggio Calabria, stessa cosa avverrà per gli altri due pure condannati, Vincenzo Ferrantelli e Gaetano Santangelo (fuggiti all’estero, in Brasile prima che la condanna divenisse esecutiva), tutti e tre hanno ottenuto la revisione dopo che un ex sottufficiale dei carabinieri, Renato Olino, già sentito a dibattimento, ha affermato che quella «banda» di balordi finita arrestata nulla c’entrava con la strage, e le loro confessioni furono estorte con le torture.
In manette erano finiti anche altre due soggetti, Giuseppe Vesco e Giovanni Mandalà (morto poi per un male incurabile). Vesco fu il primo ad essere arrestato a poco meno un mese dalla strage, fu lui a fare i nomi degli altri, poi anche lui ritrattò, ma prima ancora che l’istruttoria fosse terminata morì suicida nel carcere di Trapani dove era detenuto. Si impiccò con una corda legata alle sbarre della finestra, ci riuscì sebbene lui era monco di una mano. È sulla morte di Vesco che il pentito di mafia di Castelvetrano, Vincenzo Calcara, lo stesso che confessò a Borsellino il piano per ucciderlo, ha ora detto qualcosa che prima era solo «sussurata» e cioè il ruolo della mafia in questa strage. Fino a questo momento un possibile scenario emerso è quello che chiamava in causa «Gladio» la struttura militare segreta che nel trapanese già dagli anni ’70 aveva proprie basi, e che quei militari furono uccisi per avere fermato un furgone carico di armi destinati proprio a «Gladio». uccisi per avere visto ciò che non dovevano evadere.
Il coinvolgimento della mafia sembra non escludere questa ipotesi. Lo scenario è quello fatto di un crocevia dove mafia e servizi segreti da queste parti, nel trapanese, si sono sempre «frequentati» in un anomalo scambio di favori. Cosa dice Calcara. Racconta che all’epoca era detenuto a San Giuliano ed ebbe ordine dal campobellese Antonio Messina di lasciare da solo Vesco. «Fu ucciso da un mafioso con la complicità di due guardie carcerarie» ha detto Calcara.
Il suo racconto si lega a quello di altri due pentiti, il nisseno Leonardo Messina, e l’alcamese Peppe Ferro.
«All’epoca ero detenuto – dice Messina – seppi da esponenti della cosca di San Cataldo che amici della famiglia di Alcamo sierano messo nei guai, seppi che era stato programmato un attacco a varie sedi delle istituzioni ubicate in vari Comuni della Sicilia e che poco tempo prima che scattasse il piano era arrivato il contro ordine, bisognava soprassedere, ma la notizia ad Alcamo non era arrivata e perciò la casermetta era stata assaltata lo stesso».
«Li ho conosciuti in carcere quei ragazzi arrestati –ha detto Peppe Ferro – erano solamente delle vittime...pensavamo che era una cosa dei carabinieri, che fosse qualcosa di qualche servizio segreto».



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