«Non credevo che mi avreste trovato». Le sue telefonate rivelarono le infiltrazioni della 'ndrangheta nell'edilizia.
MILANO - Lo avevano creduto spacciato. Per quel suo vizio di chiacchierare, di raccontare cose che fuori dalle famiglie è meglio non far sapere. Soprattutto quando quelle conversazioni intercettate sono diventate la spina dorsale dell'inchiesta contro la 'ndrangheta al Nord sfociata in 300 arresti tra Calabria e Brianza. Quelli di «giù», i capicosca della Calabria, non avevano certo gradito tanta loquacità. Ma Vincenzo Mandalari, 50 anni, originario di
Il boss Mandalari, al centro, in vacanza in Thailandia |
Mandalari, a destra, fotografato a Paderno il 31 ottobre 2009 |
Per i pm, Vincenzo Mandalari, titolare della Imes srl (impresa di strade e costruzioni), avrebbe ricoperto il «ruolo di direzione e capo della locale con compiti di decisione, impartendo direttive alle quali tutti gli associati dovevano attenersi». Compreso il fratello Nunziato, di quattro anni più anziano, arrestato nel blitz e per il quale è stato disposto il giudizio immediato insieme ad altri 173 imputati per il prossimo 11 maggio. Vincenzo, invece, era riuscito a fuggire dalla casa-bunker di a Bollate. «Sono uscito a fare una passeggiata. Ho visto l'elicottero e sono scappato», ha tentato di giustificarsi. Storia «inverosimile» per gli inquirenti che invece sospettano di una talpa. Durante i 192 giorni di latitanza non si sarebbe mosso da Milano. L'ultimo rifugio (da diversi giorni) proprio a San Giuliano come confermano alcuni scontrini fiscali trovati nelle sue tasche. Ma i carabinieri stanno ancora cercando chi, in questi mesi, abbia favorito e sostenuto la sua latitanza. Ora è rinchiuso al carcere di Opera. Al sicuro. Anche dall'ira dei suoi nemici.
Tratto da: milano.corriere.it
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