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martedì 8 marzo 2011

Il sussulto dell'indagato

La deposizione del colonnello Giuseppe De Donno al processo Mori-Obinu
di Lorenzo Baldo - 8 marzo 2011
Palermo.
Partiamo dalla fine. Dalle ultime battute dell'udienza odierna del processo Mori-Obinu che ha visto sfilare sul banco dei testimoni (chiamati dalla difesa) il colonnello dei carabinieri Giuseppe De Donno, ora in congedo.


De Donno è attualmente indagato dalla procura di Palermo nell'ambito dell'inchiesta sulla «trattativa» con l'accusa di violenza o minaccia a un corpo politico amministrativo, insieme al gen. Mori e ai boss mafiosi Riina, Provenzano e Cinà. Durante il controesame sostenuto dal pm Nino Di Matteo, l'ex ufficiale del Ros ha voluto puntualizzare il concetto di «trattativa». Ed è stato lo stesso pm a ricordare all'ex carabiniere che era stato proprio lui a parlarne durante una deposizione nel 1997 a Firenze nel processo sulle stragi del '93. In quell'udienza De Donno aveva dichiarato che durante i colloqui con Vito Ciancimino lui e il gen. Mori gli avevano proposto «di farsi tramite con Cosa nostra, al fine di trovare un punto d'incontro finalizzato alla cessazione dell'attività stragista nei confronti dello Stato», e che in quella «trattativa» i «carabinieri rappresentavano lo Stato». «Sì è vero - ha replicato oggi De Donno - confermo di avere detto questo. Ma non parlo della trattativa come viene intesa adesso. Con Ciancimino noi non volevamo trattare nulla, volevamo la fine delle stragi. Non c'è stata nessuna trattativa. Noi cercammo un approccio con Ciancimino su questo punto. Era chiaro che il nostro fine fosse questo e che noi rappresentavamo lo Stato». Quando il pm ha preteso una spiegazione logica sulla mancanza di relazioni di servizio da parte del Ros in merito all'esito di quegli incontri con Vito Ciancimino Giuseppe De Donno si è trincerato dietro la motivazione di una «scelta investigativa», aggiungendo che «non c'era alcuna necessità di farlo in quel momento» e in ogni caso «nessuna norma ce lo imponeva». Di Matteo ha però insistito affinchè spiegasse le motivazioni di quelle mancate segnalazioni. Ed è a quel punto che i nervi di De Donno hanno ceduto. «Qui si stanno insinuando comportamenti che nell'Arma non esistono – ha dichiarato alzando notevolmente la voce – . Tutto si è fatto nella massima correttezza!». Il presidente della Corte è dovuto intervenire per contenere la tensione in aula. Di seguito De Donno ha specificato di avere parlato di quegli incontri solo con il generale Mori e con Liliana Ferraro, capo di gabinetto dell'ex ministro di Grazia e Giustizia, Claudio Martelli. «Verosimilmente – ha aggiunto l'ex ufficiale – ci siamo inseriti in un quadro di trattativa che altri stavano conducendo», per poi precisare che si trattava di «deduzioni di fonti giornalistiche».
L'udienza di oggi si è protratta per quasi sei ore ed è stata all'insegna di una sorta di rivisitazione dei fatti su uno dei capitoli più oscuri della nostra storia da parte di uno dei principali protagonisti. Giuseppe De Donno ha sottolineato di essere stato «uno dei collaboratori più assidui e fidati del giudice Giovanni Falcone» in quanto aveva sviluppato «la parte embrionale dell'inchiesta 'mafia-appalti'». Ed è proprio attorno a quell'inchiesta che l'ex ufficiale del Ros ha fatto ruotare buona parte della sua deposizione. De Donno ha raccontato che nel 1991 la procura di Palermo, all'epoca guidata da Pietro Giammanco, «congelò» un'indagine del Ros su mafia e appalti che aveva individuato un «comitato d'affari» in grado di controllare l'assegnazione degli appalti pubblici in Sicilia. Secondo la ricostruzione di De Donno durante un incontro «riservato» il giudice Borsellino avrebbe chiesto a lui e a Mori di riprendere l'indagine “mafia e appalti” in quanto «pensava di poter arrivare ai mandanti occulti della strage di Falcone». Poi però quando Di Matteo ha chiesto all'ex ufficiale il motivo per il quale riferì quelle osservazioni solo cinque anni dopo la strage di via D'Amelio lo stesso De Donno ha replicato laconicamente: «Non c'è stato alcun motivo particolare. Con la strage Falcone è saltato tutto. Non raccontammo l'episodio perché in quel momento non credevamo che l'attentato fosse legato alle intenzioni di Borsellino di riprendere le indagini». Il racconto dell'ex ufficiale è proseguito quindi attraverso un'interpretazione degli incontri con Vito Ciancimino, di cui si è definito il principale artefice, mai finalizzati ad alcuna «trattativa». De Donno ha quindi sottolineato di aver incontrato insieme al gen. Mori l'ex sindaco di Palermo nella sua casa romana solamente dopo la strage di via D'Amelio, in totale antitesi con la ricostruzione di Massimo Ciancimino che ha sempre datato quegli incontri tra il padre, Mori e De Donno a cavallo delle due stragi. L'ex colonnello del Ros ha ribadito inoltre di non aver mai visto alcun papello o contropapello con le richieste di Cosa Nostra allo Stato, puntualizzando che le indagini che portarono alla cattura di Riina «non furono in nessuna maniera aiutate da Ciancimino». In merito alla vicenda della richiesta di passaporto avanzata dall'ex sindaco di Palermo (di fatto avvenuta su suggerimento del Ros), che materialmente provocò il suo arresto il 19 dicembre del 1991, lo stesso De Donno ha sciorinato una versione più “artistica” dell'accaduto, evitando di affrontare le ipotesi investigative di una vera e propria trappola messa in atto contro Ciancimino, attraverso la richiesta di passaporto, per cedere il passo a nuovi “interlocutori” di Stato. L'ex ufficiale ha quindi preferito delineare l'immagine di un Vito Ciancimino che aveva chiesto il passaporto alla questura «per andare negli Stati Uniti e contattare un editore che gli pubblicasse il libro che aveva scritto perchè in Italia nessuno glielo voleva pubblicare». Di seguito il pm Nino Di Matteo ha annunciato che sono in arrivo nuovi documenti sulla «trattativa» tra Stato e mafia. Il processo è stato rinviato al prossimo 15 marzo. Nel frattempo il presidente della IV sezione del Tribunale, Mario Fontana, ha deciso di accogliere la produzione dell'audizione dell'ex ministro della Giustizia, Giovanni Conso, resa davanti alla Commissione parlamentare antimafia l'11 novembre 2010, come richiesto dalla difesa dei due imputati.


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