di M. Antonietta Calabrò - 13 marzo 2011
Intervista al procuratore Roberto Scarpinato
Roma. «È un modo indiretto per subordinare il pubblico ministero al potere politico.
Se passasse la riforma, il potere di iniziare le indagini sarebbe in mano alle forze di polizia che sono gerarchicamente ordinate e in sostanza soggette al governo, rispettivamente al ministro dell’Interno (Polizia di Stato), al ministro della Difesa (Arma dei carabinieri) e al ministro del Tesoro (Guardia di Finanza)». Roberto Scarpinato, procuratore generale presso la Corte di Appello di Caltanissetta, è assolutamente contrario a questo punto della riforma costituzionale presentata giovedì scorso. Ci spieghi meglio... «Le forze di polizia non godono né di indipendenza né di inamovibilità. Il nostro Paese tornerebbe indietro ai tempi dello scandalo della Banca Romana, quando funzionari di polizia impegnati nelle indagini si potevano trasferire in 24 ore. Adesso invece il fatto che il titolare delle indagini è il pm, garantisce la libertà da interferenze anche della polizia giudiziaria. Ma c’è anche un’altra conseguenza per i cittadini...». Quale? «Si abbasseranno non solo le garanzie di accertamento dei reati, ma anche quelle di legalità per chi è sottoposto ad indagini. Oggi il pubblico ministero è tenuto all’accertamento della verità e ogni giorno si riscontrano in tutt’Italia richieste di assoluzione avanzate dai pm. Ma se il pubblico ministero viene ridotto ad essere nel processo solo l’avvocato dell’accusa, cioè quello che ha il compito di rappresentare in udienza solo le ragioni della polizia, torneremo ad uno Stato di polizia». Uno Stato di polizia? In un paese come la Gran Bretagna il pm è solo l’avvocato dell’accusa e le indagini le fa Scotland Yard, ed è considerata culla della democrazia e del regime parlamentare... «Il problema da noi è il mosaico che diventa visibile con tante tessere che convergono in un’unica direzione: se le indagini vengono avviate dalla polizia è chiaro che la scelta dei reati da perseguire sarà influenzata dall’esecutivo, e verrebbe meno l’articolo 3 della nostra Costituzione per cui tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge; gli investigatori scomodi potranno essere trasferiti; sarà quasi inevitabile perseguire maggiormente reati come le rapine che destano maggiore allarme sociale e reazione più viva dell’opinione pubblica, rispetto ai reati dei colletti bianchi, come il riciclaggio. Insomma, l’azione della giustizia si limiterà dentro un orizzonte più ristretto? «E nelle sue linee di intervento risentirà degli umori e degli interessi delle maggioranze di governo. Mentre, secondo me, la giustizia deve essere esercitata guardando l’orizzonte più ampio e stabile dell’interesse dello Stato».
Tratto da: Il Corriere della Sera
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