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giovedì 10 marzo 2011

Relazione Dna. La 'Ndrangheta conquista il Nord Italia

di AMDuemila - 9 marzo 2011
Roma.
Allarme criminalità organizzata nelle regioni del Centro - Nord per la presenza sempre più “pervasiva” di soggetti collegati alle organizzazioni criminali, soprattutto ad esponenti della ‘Ndrangheta. A sottolinearlo è la relazione annuale della Dna che il Procuratore Pietro Grasso ha presentato in Parlamento e dalla quale emerge come le mafie risultino sempre più infiltrate nel nostro Paese.

Ndrangheta: la mafia più ricca
Nelle oltre 1100  pagine del documento balzano subito agli occhi i dati e i numeri della ‘Ndrangheta che ha “colonizzato” la Lombardia registrando “il maggior indice penetrazione nel sistema economico legale” e divenendo col tempo un’associazione dotata di un certo grado di indipendenza dalla “casa madre”, “con la quale però comunque continua a intrattenere rapporti molto stretti e dalla quale dipende per le più rilevanti scelte strategiche".
E’presente in Piemonte, Liguria, Toscana, Lazio ed in particolare Roma e Abruzzo dove sono emersi inquietanti interessi negli appalti per la ricostruzione dopo il sisma del 2009; in Umbria ed Emilia Romagna. Per quanto attiene ai rapporti sul territorio, la 'Ndrangheta è oggi “l'assoluta dominatrice della scena criminale, tanto da rendere sostanzialmente irrilevante, e comunque, in posizione subordinata ogni altra presenza mafiosa di origine straniera". La Ndrangheta è proiettata da tempo anche verso l’Europa, il Nord America, il Canada e l’Australia.
Preoccupano le sue infiltrazioni nella pubblica amministrazione.
Infatti, spiega la Dna, “c'è il rischio che si crei una schiera di "invisibili" che, germinata dalle cellule silenti delle mafie al Centro-Nord, penetri in modo silente ma insidioso il tessuto politico, istituzionale ed economico delle regioni oggetto dell'espansione mafiosa”. E non si ritiene sia una caso se, come si ricorda, “l'Unione Europea e la comunità internazionale convergono verso l'attribuzione di un medesimo coefficiente d'allarme per i delitti di corruzione e quelli di criminalità organizzata, a riprova di un coacervo illecito che andrebbe congiuntamente esplorato, con i medesimi mezzi probatori e le stesse tecniche investigative”, come “le intercettazioni telefoniche e ambientali”.In particolare, spiega la relazione della Dna, ''la ‘Ndrangheta ha caratteristiche di organizzazione mafiosa presente su tutto il territorio nazionale, globalizzata ed estremamente potente sul piano economico e militare tanto da potere essere definita presenza istituzionale strutturale nella società calabrese, interlocutore indefettibile di ogni potere politico ed amministrativo, partner necessario di ogni impresa nazionale o multinazionale che abbia ottenuto l'aggiudicazione di lavori pubblici sul territorio regionale''.

Cosa Nostra sopravvive alla cattura dei capi

Nonostante i momenti di crisi, spiega la Dna, '”Cosa nostra non rinuncia alla elaborazione di modelli organizzativi unitari ed a progetti volti ad assicurarne la sopravvivenza nelle condizioni di maggiore efficienza possibile”.

Di conseguenza, evidenzia la relazione, “gli indiscutibili successi che anche nell'anno in esame si sono conseguiti nei confronti dell'organizzazione Cosa nostra non devono indurre in errore facendo ritenere che la cattura di esponenti mafiosi di spicco e di numerosi altri associati possa da sola disarticolare in maniera definitiva l'organizzazione. La forza di Cosa nostra sta indubbiamente nei suoi capi, la cui cattura le causa un danno rilevantissimo, ma la mafia è comunque in grado di sopravvivere proprio a causa della sua struttura'”. Infatti, ''Cosa Nostra è dotata di una sorta di costituzione formale e di una costituzione materiale, al pari dello Stato, come lo Stato. In alcuni momenti storici ha contato di più la sua costituzione materiale, nel senso che il governo dell'organizzazione è stato retto secondo le scelte dei capi ed a prescindere dal rispetto delle regole.

Nel momento in cui l'azione investigativa dello Stato ha portato alla cattura di tali capi (quando la cosiddetta costituzione materiale dell'organizzazione è andata in crisi) la costituzione formale di Cosa Nostra ha ripreso importanza e tutt’ora consente alla struttura di sopravvivere anche in assenza di importanti capi riconosciuti in stato di libertà”.

La Dna evidenzia che '”dalla cattura di Provenzano in poi permane nell'organizzazione una situazione di forte fibrillazione, che riguarda sia l'individuazione di una nuova leadership, sia la ricerca di nuovi schemi organizzativi e di nuove strategie operative”, ma che anche attraverso i latitanti Cosa nostra “continua ad imporre le strategie generali, anche se l'esito positivo dell'attività repressiva le ha creato una situazione di grave difficoltà. Ciò non significa però che non riesca a mantenere il controllo sulle attività economiche, sociali e politiche nel territorio, continuando a utilizzare le vaste reti di fiancheggiatori, il sistema dell'estorsione, l'inserimento nel settore dei pubblici appalti, e più recentemente nei settori della grande distribuzione alimentare, dei mercati ortofrutticoli e in quello delle sale da gioco lecito”.

Camorra: clan sempre più frammentati

La Dna nella relazione ricorda come sia “noto che il fenomeno criminale tradizionalmente riconducibile alla Camorra si caratterizza per una peculiare frammentazione delle sue variegate aggregazioni delinquenziali. Senza la pretesa di voler analizzare aspetti che una consolidata osservazione di tipo criminologico ha avuto il merito di approfondire, può dirsi che il modello organizzativo prescelto dai vari gruppi camorristici che hanno radicamento nei territori in questione è di tipo orizzontale, individuandosi una miriade di centri decisionali in grado di dare forma a strategie criminali più o meno complesse, talvolta proiettate in periodi medio-lunghi, più spesso ancorate al conseguimento di obiettivi immediati”.

La frammentazione dei clan, evidenzia la relazione, “è senz’altro più evidente nell'ambito del territorio metropolitano (che non ricomprende solo il territorio della città di Napoli, ma che si estende ai popolosi comuni che la circondano, costituendone una sostanziale continuazione) ove il contesto sociale -caratterizzato, tra l'altro, da una densità demografica tra le più alte nel mondo- ed il tessuto economico-produttivo (in larga misura polverizzato in una miriade di attività commerciali) favoriscono forme di aggregazione criminale di particolare fluidità, in grado di controllare capillarmente ambiti territoriali, i quali, pur essendo poco estesi, si caratterizzano per un elevato numero di micro-insediamenti produttivi e di micro-attività economiche: è allora evidente che i mercati legali vengono inevitabilmente e progressivamente ad essere condizionati dai metodi di tipo mafioso propri di tali sodalizi criminali”.

Ma le più recenti investigazioni dimostrano che anche “la tradizionale solidità delle organizzazioni camorristiche nate lontano dall'area metropolitana (ove è più decisamente sviluppata la grande distribuzione di prodotti agricoli ed industriali o dove sono più frequenti gli interventi di speculazione edilizia e comunque in territori nei quali è più intenso il condizionamento degli apparati politico-amministrativi) è  destinata a confondersi in un continuo fenomeno di scissione interno ad esse, alimentato dall'indebolimento delle tradizionali leadership, oggi forse meno in grado di svolgere una funzione aggregante in seno a tali organismi criminali”.
 
Puglia la  “quarta mafia” punta all’economia legale

 Crescono le organizzazioni di stampo mafioso pugliesi che '”rappresentano una mafia moderna ed evoluta, si potrebbe dire - oggi - una mafia compiuta” e vantano '”interessi sempre più spiccati verso nuovi mercati: si fanno concreti i coinvolgimenti di ceti professionali nell'azione criminale; il reinvestimento e il riciclaggio dei proventi illeciti e l'acquisizione di spazi sempre più ampi nell'economia legale”. Questa la fotografia scattata della realtà pugliese, formata dalla Sacra Corona Unita e altre organizzazioni mafiose, dalla relazione annuale della Dna.

In particolare, nella relazione si legge che '”le elaborazioni concettuali svolte in ordine alla criminalità organizzata pugliese, hanno prevalentemente avuto come obiettivo quello di dimostrare l'esistenza, in Puglia, di una “quarta mafia”, caratterizzata da aspetti tipologici e pericolosità sociale non dissimili da quelli comunemente riconosciuti a Cosa nostra siciliana, alla ‘Ndrangheta calabrese e alla Camorra napoletana. Siffatto risultato può considerarsi ampiamente conseguito, essendosi individuato il primo “germe” della mafia pugliese nella propaggine camorristica in terra di Puglia denominata ‘nuova camorra pugliese’”.

La Dna parla di una '”mafia compiuta”che '”ha dismesso il ruolo di soggetto del ‘terziario mafioso’ (come efficacemente descritto dagli studiosi negli anni scorsi) incaricato di fornire consulenza su come introdurre sul territorio pugliese prodotti illeciti - dal tabacco alla droga, dalle armi ai clandestini - su come e dove nasconderli, su come trasportarli verso i mercati di destinazione; un ‘terziario’ della malavita che, in cambio di alloggi, coperture, manodopera, basisti, autisti, si accontenta di una partecipazione agli utili o di una percentuale sui proventi illeciti'”.

Invece, ad oggi, '”ha acquisito consapevolezza dei propri mezzi, delle capacità operative e strategiche conseguite, del vantaggio competitivo di cui dispone rispetto ad altre organizzazioni mafiose in relazione ai contatti con i gruppi criminali balcanici. Agisce, perciò, in prima persona e non più in conto terzi; pretende il governo degli affari illeciti e non è più disposta ad accettare ruoli ausiliari e serventi”.

In questo senso '”la più vistosa linea di tendenza che si registra in quest’ultimo anno è quella di una progressiva espansione -da parte dei più forti clan dei capoluoghi verso i rispettivi hinterland. Essa segna le nuove caratteristiche della mafia pugliese, sempre più simile alle tre mafie tradizionali: l'attenzione crescente che i clan dedicano alle aree limitrofe ai grandi centri abitati risponde ad una logica economico/criminale. Realizza, infatti, l'esigenza di 'seguire' i flussi di produzione della ricchezza, muovendosi parassitariamente al seguito delle migrazioni centripete operate oggi dalle imprese”

Oltre ai settori presi di mira dagli appetiti delle organizzazioni mafiose, accanto ai tradizionali business illeciti (droga, estorsioni e usura, migranti, prostituzione, contrabbando, rapine) emergono ''interessi sempre più spiccati verso nuovi mercati: si fanno concreti i coinvolgimenti di ceti professionali nell'azione criminale (i cosiddetti ‘colletti bianchi’, in grado di offrire ai clan servizi raffinati ed entrature negli ambienti politici e amministrativi); il reinvestimento e il riciclaggio dei proventi illeciti.

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