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sabato 5 marzo 2011

Rinviato a giudizio il carabiniere collaboratore del magistrato Olindo Canali



di Michele Schinella* LE AMICIZIE PERICOLOSE DI ANTONINO GRANATA. Accusato di peculato per aver accompagnato con l’auto di servizio Salvatore Rugolo, figlio del boss Francesco e cognato di Pippo Gullotti. Il militare era stato già trasferito per lo stesso motivo.

BARCELLONA - A Olindo Canali, il magistrato per 19 anni in servizio alla Procura di Barceliona, le frequentazioni con il medico Salvatore Rugolo, figlio del boss Francesco, e cognato Pippo Gullotti, boss che prese il posto del suocero, sono costati l’azione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, chiusa con il trasferimento al Tribunale di Milano e il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti. Ad Antonino Granata, appuntato scelto dei carabinieri, collaboratore di Canali, prima il trasferimento ad altra sede e adesso il rinvio a giudizio con l’accusa di peculato d’uso. E’ stato Francesco Massara, pubblico ministero a Barcellona a chiedere ed ottenere che sia vagliata la rilevanza penale di due condotte tenute dal carabiniere a cui i magistrati contestano di “avere usato l’autovettura di servizio e di essersi accompagnato il 18 aprile del 2005 con Salvatore Rugolo recandosi nella sede del commissariato di polizia di Barcellona, e ancora, due giorni dopo, il 20 aprile, di essersi accompagnato sempre con Rugolo transitando innanzi alla procura della Repubblica” della città del Longano. ll processo è iniziato dinanzi al collegio presieduto da Maria Tindara Celi il 23 febbraio scorso. Sul prosequio pesa un’istanza di remissione dei processo per legittima suspicione avanzata dal legale del carabiniere. Era stato il procuratore capo Salvatore De Luca a chiedere al Comando regionale dei carabinieri il 29 ottobre del 2008 il trasferimento d’ufficio di Antonino Granata. ll 26 ottobre, 3 giorni prima, Salvatore Rugolo era morto in un incidente stradale. Francesco Massara in una relazione di servizio, aveva segnalato che ‘Antonino Granata, subito dopo l’incidente, era presente accanto alla vettura di Rugolo, allontanandosi solo dopo la rimozione del cadavere e chiedendo informazioni sull’eventuale esame autoptico per riferire alla moglie del deceduto”. Secondo il procuratore De Luca “il comportamento di Antonino Granata appariva assolutamente inopportuno anche perchè a seguito del suicidio di Adolfo Parmaliana era stata pubblicata l’informativa Tsunàmi, che indicava Salvatore Rugolo come possibite reggente della famiglia mafiosa in Barcellona. Ciò nonostante Granata non ha avuto alcuna remora a manifestare pubblicamente l’attualità dei suoi contatti con un soggetto certamente prossimo congiunto di capi mafia e, quantomeno, sospettato di essere a sua volta un capo mafia”, ha scritto il procuratore. Al momento della morte Salvatore Rugolo era consulente del Tribunale di Barcellona. ll diritto glielo riconobbe il Comitato per la formazione dell’Albo della Corte d’appello di Messina a cui Rugolo si rivolse per chiedere la riforma della decisione del 4 luglio del 2003 del Comitato di Barcellona che aveva rigettato la sua richiesta. “Vi ostano le relazioni parentali”. Salvatore Rugolo non si rassegnò: presentò appello. ll 25 marzo del 2004 il Comitato formato da Bruno D’arrigo, all’epoca presidente della Corte d’appello, da Francesco Marzachì, a capo della Procura generale della Repubblica di Messina e Antonino Bambara, presidente di sezione del Tribunale, glielo accolse. “Rugolo non ha precedenti penali nè carichi pendenti. La Costituzione stabilisce che i cittadini sono tutti eguali davanti alla legge e non possono essere discriminati per la loro condizione personale e sociale. Non ha quindi - conclusero i tre magistrati - alcuna rilevanza la condizione sociale di Rugolo di essere figlio di un boss mafioso e cognato di un altro”. ll 24 novembre 2004 Antonino Granata è stato trasferito alla caserma di Prizzi. Ha impugnato, inutilmente, il provvedimento agli organi di giustizia amministrativa. Qualche mese fa si è dimesso dall’Arma.

*centonove del 4 marzo 2011
Tratto da:
enricodigiacomo.org


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