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giovedì 2 dicembre 2010

''Abbiamo denunciato ma ci hanno abbandonato''

La rabbia di due imprenditori che si incatenano davanti al Viminale
di Aaron Pettinari - 2 dicembre 2010
Un gesto estremo per far sentire la propria voce. Con questo intento l'imprenditore edile agigentino Ignrazio Cutrò e la palermitana Valeria Grasso, accusatrice del clan Madonia, si sono incatenati davanti al ministero dell’Interno a Roma denunciando di “essere stati abbandonati” dopo aver testimoniato per la giustizia e chiedendo “sicurezza e dignità”.

Un'azione che pone l'attenzione su un tema importante come quello dei testimoni di giustizia. Giustamente si chiede agli imprenditori di denunciare le richieste di pizzo e le intimidazioni subite per mano della criminalità organizzata, poche volte però si fa riferimento alle alle conseguenze che una tale scelta comporta.
Le cronache degli ultimi anni sono drammatiche e raccontano di testimoni di giustizia che, dopo aver deciso di stare dalla parte dello Stato senza nascondersi dietro al silenzio dell'omertà, hanno visto le proprie vite stravolte. E questo per aver fatto il proprio dovere civico.
Senza lavoro, senza sicurezza, abbandonati da tutti e come unica compagnia le minacce di morte, Cutrò e la Grasso sono stati costretti ad incatenarsi da uno Stato che dimentica. “Lo Stato italiano mi ha prima usato per istruire un processo al gotha mafioso del Bivonese e della bassa Quisquina e poi mi ha abbandonato al mio destino. Ora basta, fino a quando non mi sarà restituito il mio lavoro, la mia sicurezza e la mia dignità di imprenditore che ha denunciato cosa nostra, io rimarrò incatenato davanti al ministero dell’Interno. Se la mafia non mi ha ancora ucciso allora mi lascerò morire di fronte all’indifferenza delle istituzioni»
con queste parole Cutrò ha espresso le motivazioni che lo hanno portato a compiere un tale gesto. “Finchè il ministro dell’Interno – ha aggiunto - non ci riceverà e non ci metterà per iscritto che risolverà i problemi, che prima di schierarci con lo Stato non avevamo, noi rimarremo qui, incatenati, per tutto il tempo che servirà”.
Anche Valeria Grasso ha espresso tutta la propria amarezza: “Non vorrei convincermi anch’io che denunciando i miei estorsori, esponenti del clan Madonia che taglieggiavano la mia palestra, abbia fatto il più grande sbaglio della mia vita. Prima lavoravo, avevo tantissimi clienti e gestivo due palestre. Poi ho trovato il coraggio di denunciare le vessazioni che subivo da parte della mafia e in un sol colpo la cosca è stata smantellata; io ho perso tutto. Ho scritto alle più alte cariche dello Stato e sono stata ignorata, come fossi trasparente”.
A sostegno dei due testimoni di giustizia sono subito intervenuti rappresentanti delle “Agende Rosse” di Salvatore Borsellino e militanti dell’ Associazione nazionale vittime di mafia.
Quindi ha espresso il proprio pensiero la presidente Sonia Alfano: ''L'atto estremo di due persone per bene e riservate come loro e' un durissimo colpo alla dignita' di uno Stato che li ha dapprima utilizzati e poi scaricati come merce vecchia”. Quindi ha aggiunto: “Chiedo a tutte le persone per bene di non lasciarli piu' da soli e al Ministro dell'Interno Maroni di fornire risposte per iscritto perche' so per certo che se cosi' non sara' i due imprenditori rimarranno incatenati. Lo Stato non si tappi ancora occhi e orecchie di fronte al grido di due coraggiosi cittadini siciliani''.
Un concetto ribadito anche dal senatore del Pd Giuseppe Lumia: “I testimoni di giustizia sono una risorsa preziosa per la lotta alla mafia, ma questo governo si ostina a mortificarli. Si tratta di cittadini onesti che hanno dato un contributo importante nella lotta alla mafia e contro l'illegalità. Lo Stato non può prima usarli e poi abbandonarli al loro destino”.
“I testimoni di giustizia sono tra i più alti esempi di impegno civico del nostro Paese – ha detto Rita Borsellino - Abbandonarli, come successo con Lea Garofalo (uccisa dalla 'Ndrangheta ndr) e come denunciato oggi dagli imprenditori Valeria Grasso e Ignazio Cutrò, è un delitto. Il delitto di uno Stato che si arrende alla mafia”. “I testimoni continuano ad essere vittime di una doppia ingiustizia – ha poi aggiunto – Un’ingiustizia sociale, perché spesso vengono confusi dall’opinione pubblica e dagli addetti ai lavori con i collaboratori, ossia i pentiti ex mafiosi. Ma anche un’ingiustizia giuridica, visto che il nostro ordinamento sconta gravi pecche sul fronte della loro protezione. E questo a fronte di uomini e donne che non hanno commesso alcun delitto, ma che anzi hanno messo le loro vite nelle mani dello Stato per aiutarlo a sconfiggere la mafia”.

Info: familiarivittimedimafia.com

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