«I magistrati stanno rileggendo vecchie carte processuali – scrivono i giornalisti del "Fatto" – che si intrecciano con nuovi elementi, in particolare alcuni racconti dei collaboratori di giustizia». L'indagine sull'editore esiste – fa sapere la procura – ed è «alle battute conclusive e è prevedibile avrà la sua conclusione nei primi mesi del 2011». «Appartiene alla normalità delle Procure - spiega ancora la nota - l'avvio di indagini allorché si ha notizia di fatti che, anche solo in linea teorica, possano interessare la giustizia penale e allo svolgimento delle indagini consegue l'obbligo di legge della iscrizione dei nominativi ai quali l'indagine è riferita, senza che pertanto possano trarsi conclusioni fino a che l'indagine stessa non è conclusa». «Comunque per evitare silenzi che verrebbero bollati come ‘imbarazzate reticenze’ possiamo dire che, ad esempio, e’ in corso un’indagine sul centro commerciale "Auchan" al quale era tra gli altri interessato anche Mario Ciancio – conclude la nota della Procura di Catania – indagine alla quale e si e’ interessata nel 2009 la trasmissione "Report"».
I giornalisti del "Fatto" però ripercorrono le ombre che da decenni si stagliano dietro l'imprenditore – direttore – editore. Chiamando in causa alcuni episodi e documenti. Nell'ordinanza che diede vita al maxi processo catanese "Orsa Maggiore" si leggeva del rapporto fra Ciancio e il boss Pippo Ercolano, cognato di Santapaola. Angelo Siino, oggi collaboratore di giustizia e un tempo c.d. "Ministro dei lavori pubblici di Cosa nostra" avrebbe confermato queste circostanze e in particolare un episodio cui avrebbe assistito. Ercolano, infuriato, si sarebbe recato nella redazione de "La Sicilia" per redarguire un giornalista che aveva osato definirlo "boss" in un articolo. Sempre Siino avrebbe confermato – continuano i giornalisti de "Il Fatto"- che Ciancio era "a disposizione" dell'organizzazione, tanto che Santapaola decise di allontanare per un periodo Ercolano da Cosa nostra catanese a seguito di quel comportamento. Le dichiarazioni dei collaboratori dovranno ancora essere vagliate e incrociate con altri elementi, come il presunto "tentativo" messo in atto dal giornale di screditare il pentito Maurizio Avola che aveva reso dichiarazioni in merito al delitto di Pippo Fava, giornalista catanese ucciso da Cosa nostra nel 1984. Al vaglio anche le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, che ha raccontato l'ingresso di Ciancio nel "Giornale di Sicilia" con la «benedizione» del padre.
Poi c'è tutto quello che non è reato ma storia. L'atteggiamento tenuto dal giornale in questi anni, ad esempio. La pubblicazione avvenuta sul quotidiano "La Sicilia" della lettera del figlio di Nitto Santapaola, Vincenzo, condannato al 41 bis creò sconcerto in molti ma nessun provvedimento. L'unica precisazione arrivò dal Gip che fece sapere di non aver rilasciato alcuna autorizzazione alla pubblicazione di quella lettera. Un condannato al 41 bis, dunque, ha potuto inviare un messaggio fuori dal carcere, non da un blog o un ciclostilato, ma sul più letto quotidiano catanese. Un fatto che stride ancor di più se con la memoria si torna al 1985 anno in cui a Palermo veniva ucciso il commissario della mobile, il catanese Beppe Montana. Nel trigesimo della sua morte "La Sicilia" rifiutò ai familiari la pubblicazione del necrologio poichè faceva riferimento a «la mafia e i suoi fiancheggiatori» (leggi qui l'articolo). Senza considerare la sistematica censura (primo destinatario Claudio Fava, figlio di Pippo Fava) che ha portato il giornale a spegnere l'attenzione sui problemi reali della città. Catania, infatti, non è solo il feudo mediatico di Ciancio è anche il suo mercato economico. Qui - per più di dieci anni ha controllato la concorrenza - mettendo il veto sulla distribuzione a Catania dell'inserto siciliano del quotidiano "Repubblica" (leggi qui l'articolo) pubblicato in Sicilia nelle sue stamperie. Da editore impuro, come molti altri editori in Italia, esercita la sua professione imprenditoriale operando nei settori che vanno dall'edilizia, alla grande distribuzione, all'agricoltura. Anche attraverso appalti pubblici. Ed è proprio sull'interessamento alla costruzione di un centro commerciale a Catania che i nodi potrebbero venire al pettine.
In una nota l'impreditore – editore – direttore commenta così la notizia pubblicata dal "Fatto" e poi confermata dalla procura di Catania: «Nessuna novità’ rispetto alla trasmissione ‘Report’ di un anno e mezzo fa, per la quale ho da tempo proposto una causa risarcitoria innanzi al Tribunale di Roma. Se gli autori dell’articolo avessero letto tutti gli atti e i documenti che ho depositato davanti al Tribunale di Roma, avrebbero appurato che non ho mai commesso alcun illecito. Evitando, cosi’, una nuova diffamazione in mio danno. Per la quale – conclude l’editore – mi riservo ovviamente ogni opportuna azione. Quanto alla presunta indagine penale, se davvero esistente, ne attendo fiducioso l’esito».
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