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giovedì 9 dicembre 2010

In Italia non si lotta contro la corruzione



di Anna Foti - 9 dicembre 2010
Reggio Calabria.
Chi amministra senza scrupoli e nell’esercizio della sue funzioni di pubblico ufficiale riceve, per sé o per altri, denaro od altre utilità che non gli sono dovute sottrae illecitamente risorse al bene comune e arreca un danno di entità pari, in termini di gravità, a quello dei mafiosi che inquinano territori e accumulano profitti con attività criminali. E in termini di quantità, l’Italia si avvicina a questa giornata con un quadro allarmante in cui a fronte delle ricchezze recuperate dai beni confiscati alla malavita organizzata pari a 18 miliardi di euro negli ultimi due anni e mezzo, i fondi che si muovono nell’ombra, il denaro sottratto per mano della corruzione, al momento non contrastato con mezzi di aggressione come avviene per il crimine mafioso, raggiunge l’apice di 50 – 60 miliardi di euro all’anno.

Una sconfitta dura per lo Stato che spinge Libera e Avviso Pubblico a riaccendere i fari sulla mannaia che colpisce il bene pubblico, gli appalti per lavori, servizi e forniture dove circolano ingenti somme di denaro dove levitano i costi di produzione e non si ha più certezza della qualità delle opere appaltate, ricadendo sulla classi più deboli che pagano lo scotto di risorse deviate proprio dai comparti pubblici più delicati come la sanità, i servizi sociali, l’istruzione, la ricerca.

Ecco perché, in occasione della Giornata Europea contro la corruzione, indetta per oggi 9 dicembre, Libera torna in piazza per chiedere la confisca e il riutilizzo sociale dei beni dei corrotti e non solo dei mafiosi in Italia, paese che secondo l’ultimo rapporto di Transparency International si classifica al 67° posto per decisioni pubbliche poco trasparenti, dunque tra le ultime del vecchio continente.
Libera lo aveva già chiesto nel lontano 1995 ma di quella petizione popolare recante oltre un milione firme, il Parlamento non recepì, e non a caso, proprio la confisca dei beni dei corrotti ma solo l’uso sociale dei beni confiscati disposto con la legge 109 del 1996 che andò a completare il quadro già predisposto dalla Rognoni LaTorre n. 646 del 1982 che introdusse lo strumento dell’aggressione patrimoniale.

Una nuova petizione, adesso rivolta al Capo dello Stato Giorgio Napolitano sarà proposta in tutta Italia, anche a Reggio Calabria -  il prossimo 11 dicembre in piazza Duomo e il prossimo 18 dicembre in piazza Italia -  per sollecitare l’applicazione della norma già prevista nella finanziaria 2007 per la confisca e il riutilizzo sociale dei patrimoni sottratti ai corrotti e dunque ripristinare il senso più ampio della originaria petizione di Libera.
Uno strumento che potrà incidere sulla riduzione del maltolto e così sul costo di questa corruzione interamente sulle spalle dei cittadini perbene. Senza dimenticare che la corruzione è l’anticamera dell’infiltrazione criminale.

Dunque la confisca, e il messaggio fondamentale di riscatto del riutilizzo sociale, potrebbero rappresentare anche un valido ed efficace strumento di prevenzione per l’accrescimento esponenziale dei colletti bianchi e delle amministrazioni lambite, se non invase, dalle mafie.
Ma la mobilitazione di Libera consente anche di evidenziare che è lo stesso reato di corruzione a non essere contestato, nonostante i dati prima citati ne attestino la pratica. In Calabria non vi sono procedimenti giudiziari in atto e comunque il dato nazionale è in diminuzione, perché scarseggiano le denunce e i processi, non concludendosi nei tempi, naufragano per prescrizione. Una situazione su cui ha espresso preoccupazione anche il Greco (Gruppo di Stati contro la Corruzione presso il Consiglio d’Europa) quando nel 2008 stilò un rapporto che fotografò lo Stivale come penisola infelice che non lotta contro la corruzione.

Senza dimenticare le inadempienze internazionali, come la mancata ratifica della convenzione di Strasburgo del 1999 sulla Corruzione, che prevedrebbe l’introduzione dei reati di corruzione tra privati, autoriciclaggio e traffico di influenze illecite. Altro elemento sarebbe quello della nuova penalizzazione del falso in bilancio, origine di oscure e sospette movimentazioni che vengono ripulite con le attività di riciclaggio. Dunque un reato diffuso ma non contestato, praticato ma protetto dall’omertà, percepito ma non denunciato. Servono strumenti più efficaci per individuarlo, perseguirlo ed estirparlo ma serve soprattutto la volontà di spezzare il silenzio di corrotti e corruttori, forse rendendo vantaggiosa la denuncia e sconveniente l’omertà.

Ma davvero, solo un meccanismo di premialità può stimolare la cittadinanza a collaborare e ad avere fiducia? Il passo dovrebbe essere automatico poiché non denunciare corrisponde ad essere complici di quella stessa impunità che ha già scoraggiato tanti, gli stessi che oggi sono convinti che nulla si possa fare per contrastare la corruzione e il malaffare. Intanto a livello europeo Flare (Freedom, Legality and Rights Europe) ha promosso per oggi una conferenza allargata allo scopo di sensibilizzare l’Europa tutta sulla tematica del contrasto al crimine organizzato. La sfida è quella di raccogliere un milione di firme, ma a livello europeo questa volta, affinchè si emani una direttiva che imponga la confisca e il riutilizzo dei beni di provenienza criminale a tutti i paesi di Europa. Una necessaria, e per certi versi anche tardiva, armonizzazione in tema di aggressione ai beni confiscati alla criminalità.

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