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venerdì 3 dicembre 2010

La trattativa Stato-mafia? Roba da storici, non da pm



"Non parliamo più di cose di 17 anni fa su cui il giudizio spetta alla storia. Serve invece una politica attenta alle questioni attuali". Le parole di Luca Palamara,
presidente dell'Anm, sulla trattativa tra Stato e mafia nel 1993, e in particolare sull'operato dell'allora ministro Giovanni Conso, non sfuggono negli ambienti di  centrodestra, pur nell'imminenza del conto alla rovescia verso il voto di sfiducia.

Ad accendere la miccia, il presidente dei senatori del pdl Maurizio Gasparri al Salone
della Giustizia a Rimini: "Assistiamo sconcertati a questo racconto del 1993, durante il Governo Ciampi, quando il ministro Giovanni Conso disse: ho revocato centinaia di trattamenti carcerari severi, 41 bis, perché pensavo che in questo modo si fermasse
l'offensiva stragista della mafia".
Su questo Palamara, questa volta, non difende la necessità di andare a fondo più volte ribadita in altri casi (pentiti, Ciancimino, Berlusconi e Dell'Utri...): roba da storici, ormai, non da inchieste dei pm.
E allora Gasparri: "Troppo comodo rifugiarsi nella storia. Palamara ci aiuti a scoprire la verità sulla resa del governo Ciampi".

Il ricordo di Scalfaro
Vuole chiudere quel capitolo anche l'ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, che però ne apre un altro quando racconta che Carlo Azeglio Ciampi, assumendo l'incarico di presidente del Consiglio, era persona "poco
adusa alla battaglia politica": per questo temeva un colpo di Stato
nella stagione delle stragi di mafia.
"Però, essendo stato ministro dell'Interno negli anni in cui si sparava quotidianamente, ero molto attento e ho temuto seriamente - ammette l'ex capo dello Stato - che in qualche modo in piazza ci scappasse un morto, perché questo impedisce alla gente di ragionare. Allora uno si trova con la rivoluzione in atto, non sa neppure perché è scoppiata, ma è difficile poi frenarla e incanalarla". Quanto alle indagini sulla trattativa Stato-Cosa nostra, "debbo dire - taglia corto Scalfaro - che sono stato ministro dell'Interno, sono stato presidente della Repubblica:
mai mi è giunta una notizia che avesse un quid di serietà".
Ma non è tutto: "C'è un tema che mi ha sempre lasciato estremamente insoddisfatto, anche quando fu giudicato e condannato un funzionario dei servizi, un
processo a Palermo molto faticoso, dove un uomo di eccezione, capo della polizia che era stato capo di uno dei settori dei servizi, andò a fare il testimone a difesa non tanto su quell'episodio, che poteva conoscere in parte - dice Scalfaro - Ma tu, Stato, chiami delle persone le quali sono in primissima linea e gli dai il compito di tenere contatti, di conoscere, di parlare: come fai poi a processarli? Quando voi pescate un fatto grave di tradimento è un altro discorso; ma quando continuate a lavorare
intorno, chi l'ha messo, chi gli ha dato anche il compito in qualche modo di dialogare per sentire le intenzioni, allora mettete in conto che ci sia un momento di sfiducia, gli date un pacco di quattrini e che non metta piede in Italia da nessuna parte, in nessuna veste per dieci anni: questo è  un discorso".

Conclusione di Scalfaro: "Quello di andare 15-20-30 anni dopo: non riesco a capire
quanto ci sia di ingegno e quanto ci sia di piccole vendette personali, di gelosie, quanto si dia spazio ai lati peggiori degli esseri umani".
Ne prendiamo atto, entrino pure gli storici 'chiamati' da Palamara: ma vale per tutti?
Nel silenzio di La Repubblica, L'Unità, Il Fatto quotidiano, etc, che pure hanno seguito con attenzione i tentativi e le rivelazioni sulla presunta trattativa Stato-mafia chi ne vuole sapere di più, ora, è Gasparri: perché, sostiene "si dice che Ciampi
presidente del Consiglio dell'epoca non sia stato informato (della estesa revoca del 41bis a decine di mafiosi, ndr.); immagino anche Scalfaro che pure è stato ministro dell'Interno, persona profondamente esperta dei temi della sicurezza e del contrasto al crimine".
"Noi - ribadisce Gasparri - vogliamo la verità: vogliamo che Scalfaro e Ciampi in Parlamento e in commissione Antimafia dicano le cose come stanno perché vedere lo Stato, anche se sono passati 17 anni, in ginocchio davanti alla mafia è una
cosa molto sconcertante".

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