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lunedì 6 dicembre 2010

Marsala e il chiosco confiscato

di Rino Giacalone - 6 dicembre 2010«Io sono il padrone di Porta Nuova». In una intercettazione, tale Michele Parrinello, arrestato nel 2007 dalla Polizia, affermava così il suo predominio su una piazza di Marsala, anzi la piazza principale di Marsala.

Parrinello è nipote di uno «'ntiso», Carlo Licari. Gestivano un bar, il chiosco è proprio di fianco all'antica porta della città.
Licari faceva a modo suo concorrenza agli altri esercenti, non offriva prezzi ribassati, ma ricorreva alle minacce e agli incendi per chi non voleva starlo a sentire. Quel chiosco era diventato il simbolo di una Sicilia che non voleva cambiare e anche di quella parte di Sicilia costretta a subire e, però, a non volere denunciare. Domani (oggi 6 dicembre 2010) quel chiosco diventerà qualcos'altro, lo Stato lo ha confiscato a quei "quattro" che facevano i mafiosi in quella piazza, il chiosco verrà consegnato in uso alla Soprintendenza che ne farà un centro per mettere anche in mostra le ricerche archeologiche. Cerimonia in mattinata, così per chiudere definitivamente un brutto capitolo. Una storia che quando nel 2007 diventò nota per il blitz che scompaginò l'organizzazione, portò l'allora magistrato antimafia che coordinava le indagini, il procuratore aggiunto Roberto Scarpinato, a dire una frase che presto fece il giro di tutte le redazioni; citò Hegel dicendo come è vero che «il demonio si nasconde nel dettaglio». Scarpinato diceva bene, spiegò che mentre nel resto della Sicilia risultava avanzata oramai la «rivolta» contro il racket mafioso, nel trapanese questo restava (e resta) un traguardo allora non raggiunto (e oggi non del tutto tagliato). La «storia» dell'indagine sul racket di Porta Nuova non era tanto ricca di episodi ma dentro gli investigatori trovarono gli stessi elementi delle «grandi» indagini, l'arroganza mafiosa, un territorio che si guardava bene dall'affrancarsi dal fenomeno estorsivo e che sceglieva «la diserzione civile» e che pretendeva che fosse solo lo Stato, con magistratura e forze dell'ordine a fare tutto (convincimento che oggi non è del tutto scomparso), quella omertà ottocentesca che continua ad accompagnarci e ancora oggi cerca di indebolire la reazione antimafia che per fortuna va crescendo, nonostante qualcuno la definisca, per denigrarla, «professionismo» dell'antimafia. Le confische sono le risposte a chi dice che la lotta alla mafia non produce nulla, risarciscono invece la società, la «ristorano» e non è cosa di poco conto in questi giorni di crisi.

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