di Marco Cappella - 8 gennaio 2011
Messina. Sono passati diciotto anni da quel venerdì dell’8 gennaio 1993. A Barcellona Pozzo di Gotto, quella sera, alle 22.45, un sicario di Cosa Nostra esplose tre colpi di pistola ed uccise il corrispondente de La Sicilia Beppe Alfano. Un giornalista antimafia con una forte passione per il suo lavoro.
L’artefice di inchieste con le quali, tra l'altro, cercava di svelare retroscena di storie torbide: truffe alla comunità europea, soldi misteriosamente scomparsi, traffici di amianto, rifiuti e stupefacenti.
A tal proposito la figlia, Sonia Alfano, europarlamentare, in una intervista rilasciata al Corriere del Mezzogiorno ha detto:
“Non avrò pace finché non andranno in carcere anche i mandanti 'politici' dell’omicidio di mio padre, quelli che si nascondono tra le istituzioni e i professionisti, il livello dei cosiddetti ‘colletti bianchi’”.
“Come è emerso anche nel corso di alcune inchieste e come hanno riferito alcuni pentiti - ha proseguito la Alfano - c’è un noto avvocato che a Barcellona Pozzo di Gotto coordinava in quel periodo i collegamenti tra la mafia, in particolare il clan Santapaola di Catania, e i servizi segreti deviati. Mio padre quando è stato ucciso stava indagando su una truffa agrumicola all’Ue, e sono certa che questo ha dato fastidio non solo ai boss. Inoltre come ha ammesso lo stesso procuratore dell’epoca Olindo Canali a Barcellona Pozzo di Gotto, il giorno in cui fu ucciso mio padre, c’era la presenza di Ros, Sisde e Sco: questo non credo sia casuale”.
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