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sabato 15 gennaio 2011

Denunce, querele, rinvii a giudizio ed altro.

di Giambattista Scidà - 14 gennaio 2011
Anni addietro indirizzai all'on. Forgione, Presidente della Commissione Antimafia, della XV legislatura, da poco entrata in funzione, la lettera aperta che si può leggere nel blog http://scida.wordpress.com, proponendogli, in fine, una pubblica discussione sul tema da me affrontato: alla quale partecipassero l'on. Anna Finocchiaro e don Luigi Ciotti.

Forgione non rispose; la Finocchiaro e Ciotti non interloquirono; e i media, sia locali che nazionali, fecero attorno al mio scritto una specie di vuoto pneumatico: uniche eccezioni un sito internet (www.terrelibere.org) e il quotidiano L'Unità. Il magistrato, del quale criticavo la chiamata a consulente della Commissione, mi denunciò e querelò: per calunnia; per diffamazione; e per diffamazione a mezzo stampa, come concorrente con l'autore dell'articolo apparso sul citato quotidiano. La Procura Repubblica di Roma escluse di potermi incriminare per calunnia (era certo il mio convincimento di sussistenza dei fatti affermati), ma mi accusò di diffamazione, perchè i fatti stessi, da me creduti reali, non erano, per essa, tali (non mi è noto, perchè non risulta dal fascicolo, da quale indagine mai avesse ricavato ragione di negarli), e anche mi accusò di diffamazione a mezzo stampa, in concorso col giornalista (che non conoscevo e del cui articolo avevo avuto la prima notizia solo dopo la pubblicazione). Il dibattimento avrà inizio in marzo, ed io sono lieto che il querelante e il quotidiano La Sicilia (12/01/2011 p.8) ne abbiano dato annuncio: è bene, per Catania, per la Giustizia e per me, che delle udienze diano conto le cronache, mettendo i concittadini nella condizione di poterne seguire lo svolgimento: all'opposto di quanto avvenuto, sinora, nel processo a carico di Travaglio, Giustolisi e Flores – querelante altro magistrato della Procura Repubblica etnea; corpo del reato un articolo di MicroMega – che i media locali e nazionali hanno tenuto a fasciare di silenzio (come da me deplorato, sul citato blog, con lo scritto “Il Caso Catania davanti al Tribunale di Roma”). Un bel “grazie!”, dunque, a chi ne ha scritto.

La vicenda arricchisce e completa, mentre raggiungo l'ottantunesimo anno d'età, la mia già ricca esperienza: della quale evoco qui due capitoli non ancora remoti. Nel dicembre 2000 (continuavo nel mio servizio di Presidente del TpM) tornai a rivolgermi al CSM – del quale faceva parte, dal '98, un ex Pretore di Catania, ed ex Sostituto Procuratore della Repubblica nella stessa sede; e chiesi di nuovo, come già nel '96, che si volesse far luce sul processo per il grandioso appalto di viale Africa (Centro Fieristico Le Ciminiere) e su certo suo antecedente (l'appalto, a suo tempo aggiudicatosi da quello stesso imprenditore per la costruzione della Pretura di via Crispi). Il processo era stato impostato da quel tale componente del CSM. E tornai a richiamare, come durante il quadriennio '94 – '98, altro processo, a carico di giornalisti, nel quale avevano deposto come testi (Trib. di Roma, VII Sezione; 1992, 9 febbraio) due magistrati entrambi in servizio a Catania: qualcuno dei quali aveva mentito. Uno dei due ero io.
La I Commissione del CSM fu dissuasa dal sentirmi, e persuasa ad agire contro di me. Venne impalcata, pur nella palese mancanza di motivi, una procedura di trasferimento d'ufficio per incompatibilità con l'ambiente e con la funzione; la proposta in mio danno fu deliberata il 9 novembre 2000 e subito resa nota con un “lancio” ANSA.
Fulminea, la nemesi piombò su quella dismisura. La reazione della coscienza pubblica, a Catania e fuori Catania – in seno alla Commissione Antimafia, tra i giudici minorili italiani riuniti a congresso, e sulle testate giornalistiche – fu tale che gli stessi proponenti corsero a bloccare con un pretesto la marcia di quella loro creatura verso il plenum. L'ispezione ministeriale, che essi chiesero in alternativa, confermò l'impossibilità di contestarmi addebiti fondati. Per la Commissione, l'avventura esitò in un disastro. Ma inutilmente io la sfidai o ad archiviare gli atti o a mandarmi, finalmente, davanti al plenum: essa schivò sia l'umiliazione dell'archiviare, sia la rotta del “giudizio”, pubblico e di certamente incontenibile risonanza, aspettando che io uscissi dal campo per raggiunti limiti d'età (72 anni il 22/01/2002).
Il cortese lettore vorrà a questo punto notare: sulla mia vecchia testa, prima che i fulmini delle querele e denunce del magistrato catanese, quelli del CSM. Ma in mezzo, tra fulmini e fulmini, i disegni, a mio riguardo, della malavita.
“Presidente Sciatà, la sua vita è in pericolo perchè si è messo contro le persone sbagliate..........”: così una lettera indirizzatami, il 25 agosto 2001, da un detenuto nel carcere catanese di piazza Lanza.
Che cosa avevo mai fatto? il 7/12/2000, chiamato dalla Commissione Antimafia (come auspicavano migliaia e migliaia di catanesi), avevo deplorato l'acquisto di un alloggio in villa, in San Giovanni la Punta, fatto da un magistrato della Procura Repubblica di Catania: costruttore e venditore un affiliato al clan Laudani (Rizzo Carmelo), poi fatto uccidere dai capi. Ma il magistrato fece presto a smentirmi, producendo al CSM e in altre sedi l'atto di compravendita: costruttore e venditore tutt'altra persona affatto estranea alla mafia: il cavaliere A. Il CSM (quella stessa Commissione I che aveva voluto perseguire me) intervenne allora, senza sentirmi, a tutela di lui, che di tutela faceva richiesta, e contro di me. Il plenum ne accolse a maggioranza le proposte.
Il seguito fu sconvolgente. Il cavaliere A svelò ai CC di non aver costruito nulla e di non avere intascato alcuna parte del prezzo: si era prestato ad una finzione. E consegnò la dichiarazione, a firma del magistrato compratore, da costui rilasciatagli perchè si prestasse a fingere. 
Di tutto ciò, la causa prima ero stato io, con le mie dichiarazioni all'Antimafia. Quando mi giunse la lettera del detenuto, la situazione del magistrato compratore, già difficile sino ad un momento prima del voto consiliare che lo salvava, si era fatta difficilissima, e gli affiliati al clan dei Laudani avevano buon motivo di volermi punire.
Chiesi, ma non potei ottenere, che si desse corso alle indagini del caso. L'uomo, del quale doveva essere disposto l'immediato trasferimento in altro carcere, per lui sicuro, fu lasciato lì, tra quelle mura, in mezzo a quelle temibili e ormai allarmate presenze; e si comportò come ognuno al suo posto avrebbe fatto. Riconobbe, sì, lettera e firma, indicando nel “caso Catania”, l'origine del pericolo segnalatomi, ma eluse la domanda circa le fonti del suo sapere, asserendo di non averne avuto altra che l'animo suo stesso. La lettera fu separata dagli atti delle indagini, provocate dalle rivelazioni del cavaliere A, e venne avviata all'archivio, come già le dichiarazioni mie all'Antimafia, e come in sèguito le stesse indagini.
Il catalogo, cortese lettore, è questo: all'assalto di Scidà, negli ultimi dieci anni, il CSM; all'assalto la malavita; all'assalto, dato che ancora egli non si risolve a tacere, denunce e querele. Ma le attenzioni per lui erano cominciate ben prima, all'inizio degli anni '80, e avevano riempito di sè gran parte di quel decennio. Le rivisiterò per chi ha la bontà di leggermi.

continua...

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