di AMDuemila - 8 febbraio 2011
Palermo. Nel corso delle dichiarazioni spontanee rese stamani dal generale Mario Mori nel processo in cui è imputato con l’accusa di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra per la mancata cattura di Bernardo Provenzano, l’ex capo del Ros ha messo in evidenza le contraddizioni dell’ex ministro della Giustizia Giovanni Conso (in carica dal febbraio del 1993 all’aprile 1994 nei governi Amato-Ciampi) sul 41 bis tra quanto dichiarato nel settembre del 2002 al pm fiorentino Gabriele Chelazzi (morto il 24 settembre del 2002) quando si era detto favorevole al mantenimento del carcere duro e quanto sostenuto davanti alla Commissione Antimafia l’11 novembre del 2010, quando l’ex ministro disse di aver assunto, nel 1993, in totale autonomia la decisione di revocare a 140 boss detenuti il 41 bis per fermare le stragi di Cosa Nostra dopo gli attentati di Roma, Firenze e Milano. Un gesto definito “distensivo verso gli ambienti mafiosi” in seguito alla valutazione che la strategia di Provenzano fosse diversa da quella stragista di Riina.
"Mi permetto di osservare - ha detto Mori - che questa spiegazione non appare convincente perché ritengo che Conso, illustre giurista e cattedratico, lontano per una vita dalle problematiche della mafia, non poteva avere cognizioni così approfondite per fare, da solo, uno specifico distinguo tra le caratteristiche operative dei due capi mafia".
Nel settembre del 2002 Conso aveva riferito al pm fiorentino che l’ex dirigente del Dap Nicolò Amato nel ’93 aveva parlato di “un’applicazione selettiva” per il 41 bis, invece Conso era del parere che “il tema del rinnovo dei decreti ex 41bis era in quel momento senz’altro prematuro e quindi io mi riservavo di farne oggetto di più aggiornate meditazioni. E feci bene perché gli eventi successivi e in particolare la strage di Firenze mi convinsero nel modo più assoluto della necessità di mantenere fermo il 41 bis e di rinnovare i decreti”.
Solo che l’interrogatorio di Chelazzi si chiuse “senza che il professore Conso facesse menzione della successiva, repentina modificazione del suo atteggiamento – ha detto Mori - se è vero che il 1° novembre del '93, solo quattro mesi dopo la sua decisione 'chiara e convinta’ di confermare i decreti relativi ai detenuti mafiosi allo scadere di un blocco di 140 provvedimenti adottati sulla base del 41 bis, egli non li rinnovò, malgrado che, in tempi successivi alle sue precedenti difformi decisioni, alla fine di luglio, si fossero verificati anche gli attentati di Roma e Milano".
Secondo Mori "il ministro Conso nella deposizione del 2002 non poteva ignorare l'importanza della mancata citazione e motivazione dell'improvvisa decisione di modificare il suo atteggiamento sul 41 bis nell'autunno del '93 ma non ne fece cenno al pm. Resta da vedere il perché di questa importante omissione" si interroga Mori che si lancia in una tenace difesa del lavoro del Ros che “è sempre stato favorevole al mantenimento del 41 bis”. E nel ripercorrere l’acceso dibattito istituzionale sorto dopo le stragi del ’93 sull’opportunità di confermare il 41 bis, Mori ha aggiunto che l’allora vice di Nicolò Amato al Dap Di Maggio era un “convinto assertore della linea del rigore”al punto che prima il 12 agosto del 1993 e poi il 28 agosto dello stesso anno il Ros si espresse per il mantenimento del regime del carcere duro.
L’ex capo del Ros ha poi replicato al giudice Alfonso Sabella che nella scorsa udienza del processo aveva affermato che nell’arresto del boss latitante Domenico Farinella, ci sarebbero stati dei ritardi da parte del Ros. “Non ci furono ritardi o omissioni nella conduzione dell’attività” sull’arresto del boss “ma solo il naturale sviluppo di un percorso investigativo sul terreno che prevede anche che nel corso delle operazioni si possono commettere degli errori, ma in buona fede” ha detto Mori. E sull’accordo tra Carabinieri e l’ala vicina a Provenzano di cui ha sempre riferito il pm, Mori ha sottolineato che si tratta di affermazioni gravi a sostegno delle quali l’ex pm palermitano non ha portato alcuna prova.
Davanti al Tribunale anche la deposizione dell’ex capo della Dia, il generale Giuseppe Tavormina, che ha smentito l’ex ministro Claudio Martelli sulla presunta telefonata che questi gli avrebbe fatto nel 1992 per informarlo dei contatti tra il Ros e l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino. La contraddizione tra le due testimonianze ha spinto il pm Nino Di Matteo a chiedere il confronto tra Martelli e Tavormina.
Sempre oggi ha deposto anche il procuratore aggiunto di Milano Armando Spataro che ha negato di avere mai rivolto al pm Sabella la domanda se stavano per prendere Provenzano.
L’udienza del processo è stata rinviata al 22 febbraio per l’esame dell’ex generale Francesco Delfino e il tenente colonnello Carmelo Canale.
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