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giovedì 3 marzo 2011

Al Procuratore della Repubblica ff presso il Tribunale di Catania dott. Sebastiano Patane'

da Giambattista Scidà - 3 febbraio 2011
Lettera aperta di Giambattista Scidà al Al Procuratore della Repubblica ff presso il Tribunale di Catania dott. Sebastiano Patané.
     


Al Procuratore della Repubblica ff
presso il Tribunale di Catania
dott. Sebastiano Patané
 
A seguito delle mie dichiarazioni 7/12/2000, la Commissione Antimafia aprì inchiesta sulla Procura della Repubblica di Catania, ma la sua attività fu presto troncata dalla fine di quella Legislatura (la XIII). La nuova Commissione, finalmente costituita (presidente dott. Centaro; maggioranza di destra) che avrebbe dovuto riprendere l'inchiesta, si rifiutò di venire a contatto con la situazione locale, sebbene questa si fosse nel frattempo drammaticamente aggravata. Il magistrato Gennaro aveva indotto il CSM ad un voto a tutela di lui: di lui che assumeva di aver comprato casa, in S. Giovanni La Punta, da un innocente cav. Arcidiacono, e non da un mafioso; ma le rivelazioni fatte da quest'ultimo, pochissimo tempo dopo quel voto, ai CC di Catania, avevano smentito sia Gennaro che il CSM.
 
Per sua parte, il Ministero della Giustizia (titolare l'ing. Castelli) tenne ad astenersi da ispezioni, anche dopo le rivelazioni Arcidiacono, che imponevano di subito ordinarne qualcuna; e nessuna iniziativa disciplinare fu presa, che io sappia, dalla Procura Generale presso la Cassazione, cui la Procura Generale di Catania, retta per anni ed anni dallo stesso magistrato, apologeta costante della Procura della Repubblica, non segnalava alcun fatto che potesse indurre a promuovere procedimenti. Le grandi testate e l'informazione locale concorrevano a blindare l'Ufficio etneo, e il suo più eminente personaggio (oltre che Procuratore Aggiunto, Gennaro era presidente dell'ANM ed era stato membro del CSM dal '94 al '98; nel 96 aveva, come componente della Commissione Direttivi, voluto la nomina a Procuratore Capo del dott. Busacca, a dispetto delle ragioni illustrate da una appello a mia firma, di affidare il posto ad un estraneo all'ambiente catanese, anche a costo di riaprire i termini per nuove istanze). A Messina le indagini rese inevitabili dalle rivelazioni Arcidiacono, erano state archiviate.
 
Attorno ai fatti di Catania – della devianza istituzionale catanese – tutto era dunque silenzio; e le sole speranze residue di disseppellimento delle verità, coperte da quel silenzio, si concentravano sulla Commissione Antimafia della legislatura ulteriore (la XV): la quale veniva in esistenza nel momento più cruciale per la comunità catanese, l'antivigilia del pensionamento del Procuratore della Repubblica nominato dieci anni prima, come già detto. Un'inchiesta su Catania avrebbe reso palese la necessità propriamente imprescindibile, del rinnovamento dell'Ufficio, mediante nomina di un Capo libero da legami con il contesto: con tutte le conseguenze che una tale scelta, invocata da moltissimi cittadini, avrebbe prodotto: la scoperta e denuncia ad opera del nuovo Procuratore, di fatti già avvenuti, e l'impedimento di altri fatti. Sarebbe stata, per il sistema-Catania, una catastrofe. Solo la Commissione poteva provocarla, venendo subito a Catania, e solo essa avrebbe potuto evitarla astenendosi dal venirci.
 
Purtroppo la Commissione, presieduta dall'on. Forgione, fece molto di più. Non solo si astenne dall'aprire inchiesta sulla Procura di Catania, ma si precluse di poterla iniziare, perché chiamò a sé come consulente a tempo pieno proprio un magistrato di essa Procura; proprio uno dei tre che si erano occupati in gruppo degli affari di S. Giovanni: affare Scuto, affare Laudani, omicidio Rizzo, omicidio Atanasio, omicidio Bonvenga, dichiarazioni di pentiti e collaboratori di giustizia, etc... .
 
Alle mie osservazioni critiche, rinnovate con lettera aperta al presidente Forgione, il nuovo consulente reagì con denuncia (per calunnia) e querela (per diffamazione). E mi accusò anche di diffamazione a mezzo stampa, attribuendomi concorso in un articolo (libera e breve parafrasi della mia lettera aperta) apparso su L'Unità: di un giornalista a me ignoto, e col quale non avevo avuto e non ho avuto nemmeno in seguito alcun contatto, né diretto né indiretto. Il PM ha trovato impossibile perseguirmi per calunnia: io credo nella sussistenza dei fatti che affermo. Ma i fatti, dice esso PM, non sussistono. Lo dice non perché abbia fatto indagini (che io sappia) ma perché a dirlo è il querelante. E dice anche, il PM, che dell'articolo apparso su L'Unità debba rispondere anche io, come concorrente con l'autore. Il GIP ha condiviso tutto.

E' questo dunque il processo a mio carico, nel quale si impegna la Giustizia di Roma. Per difendere la verità, e subito dopo me stesso, ho chiesto ad alcuni Uffici catanesi copie di certi documenti. La Segreteria della Procura della Repubblica di Catania (dell'Ufficio che è stato del querelante, per più di dodici anni e che è tuttora del dott. Gennaro), è la sola che non abbia ancora corrisposto alla richiesta. Ne informo con questo mezzo il Procuratore della Repubblica ff, dott. Sebastiano Patané, con piena fiducia nella sua indipendenza da tutti.

Giambattista Scidà (2 marzo 2011)

Tratto da: 19luglio1992.com

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