Indicato come la punta di diamante, infila tanti non ricordo nelle risposte
di Rino Giacalone - 24 marzo 2011
Non è stata una udienza priva di colpi di scena quella del 23 marzo del dibattimento per il delitto di Mauro Rostagno. Presenti i due imputati, Vincenzo Virga in video conferenza, e Vito Mazzara in aula, sul pretorio è tornato il luogotenente dei carabinieri Beniamino Cannas, all’epoca del delitto, brigadiere presso il nucleo operativo provinciale. I carabinieri hanno escluso la pista mafiosa, sostenendo, anche durante il processo (testimonianza oltre che di Cannas anche del suo ex comandante Nazareno Montanti), di non avere trovato elementi, ma Montanti prima e Cannas adesso, dinanzi alle domande poste dai pm che hanno evidenziato tra le righe come gli elementi che conducevano alla matrice di Cosa Nostra erano «a portata di mano», hanno cercato di cavarsela «glissando», con i non ricordo. Cosa che ieri nei confronti di Cannas ha portato il presidente della Corte di Assise, giudice Angelo Pellino, a richiamare quasi il teste dinanzi all’ennesima dichiarazione con la quale cercava di porsi lontano dalle indagini sul delitto Rostagno: «Non è comprensibile – ha detto Pellino – come il suo ex comandante l’ha indicata a noi come una “punta di diamante” e lei oggi viene a dirci che non si occupava delle indagini». Il luogotenente Cannas aveva detto che «lui di mafia non si occupava, ma di droga».
Cannas se le è presa anche con la stampa a proposito delle notizie pubblicate su verbali di sommarie informazioni dei quali fu oggetto Rostagno proprio da parte sua che solo ieri e nell’ultima parte della sua deposizione si è ricordato: sentì Rostagno a proposito di mafia e massoneria. «I giornalisti – ha detto – mi hanno voluto mettere in cattiva luce».
A richiamare il teste è stato anche il pm Gaetano Paci. Cannas infatti ha riferito di un colloquio con Rostagno, causale, per strada, a fine agosto 1988. «Parlammo di diverse cose, anche dell’indagine cui era coinvolto sul delitto Calabresi. Mi disse che se gli davano il tempo avrebbe chiarito tutto. Poi ricordo un’altra frase, “si tratta di un errore di gioventù”». «Ma messa in relazione a cosa?» ha chiesto il pm. «Non ricordo – ha risposto il teste – ma sicuramente non si riferiva al delitto Calabresi». Ed allora il pm Paci ha tirato fuori un verbale del 1992 dove quella frase lui (sentendo Carla Rostagno, sorella di Mauro) la metteva in relazione al delitto Calabresi. «Come è possibile – ha chiosato il pm – che si scrivono relazioni di servizio così generiche?». Non è servito a Cannas ricordare che durante la sua carriera ha arrestato «800 persone».
Sono poi emerse clamorose anomalie: il mancato immediato sequestro delle cassette con la registrazione degli interventi in tv, a Rtc, di Rostagno, «fu fatto sette mesi dopo il delitto» (ma un altro teste, il regista Alberto Castiglione ha ricordato che nel 2005 trovò un magazzino con migliaia di cassette). E poi quel verbale di sopralluogo sul luogo del delitto che Cannas firmò mesi dopo il delitto. «Come è possibile questo?» ha chiesto il presidente Pellino. «Fino ad allora avevamo lavorato con gli appunti che avevamo preso» la risposta di Cannas.
L’audizione del luogotenente Beniamino Cannas si è conclusa con una dichiarazione del pm Paci che ai giudici ha anticipato che chiederà ai carabinieri di produrre tutti i documenti conservati nei loro archivi che hanno come oggetto eventuali audizioni, a qualsiasi titolo di Mauro Rostagno. I verbali indicati sulla stampa, quelli davanti ai carabinieri e dinanzi all’allora giudice istruttore di Rostagno, come persona informata dei fatti, a proposito di mafia e massoneria, hanno infatti lasciato sorpreso il magistrato, «non sono dentro ai fascicoli processuali, mi chiedo perchè non ci sono stati mai trasmessi» ha detto Gaetano Paci. La difesa di parte civile di Chicca Roveri e Maddalena Rostagno, avv. Carmelo Miceli, ha prodotto invece copia dell’intervista rilasciata da Rostagno a Claudio Fava per King nel 1988 e il libro dello scrittore Mugno dove sono raccolti gli editoriali di Rostagno a Rtc. Su quest’ultimo libro le difese si sono opposte. I giudici si sono riservati.
L’udienza dopo Cannas era proseguita con l’audizione dell’ex comandante provinciale della Finanza, oggi generale Ignazio Gibilaro, comandante provinciale della Gdf a Roma. Ha riferito degli accertamenti nei confronti di Cicci Cardella sull’uso di un «veliero» il «Povero Vecchio»: «Sospettavamo che lo usava per trasporti clandestini di personaggi arabi ed egiziani, una volta lo sequestrammo perchè a bordo fu trovato un “portale” di pietra di importazione clandestina».
Ma il colpo di scena vero e proprio è stato anche un altro. Ed ancora durante la deposizione del luogotenente Cannas, quando gli è stato chiesto se fu fatto l’accertamento su quello scontrino di macelleria trovato nella cava, vicino all’auto bruciata e che fu usata dai killer che uccisero Rostagno. I carabinieri hanno sostenuto che a fare quell’acquisto erano stati tre operai che quel giorno erano andati in quel luogo quasi a farsi una scampagnata, saltando la giornata di lavoro, comprarono della salsiccia per arrostirla e fare pranzo. Ma quella macelleria non era una macelleria qualsiasi, era quella di Crocci di proprietà di Francesco Virga, nipote del capo mafia Vincenzo. Francesco Virga fu indagato dalla Polizia diversi anni dopo. Tutto è avvenuto per caso? Anche quello scontrino lasciato in quella cava? Possibile che i carabinieri, come hanno detto i pm Paci e Ingroia, hanno con tanti elementi in mano «sbeffeggiato» la pista mafiosa a proposito del delitto Rostagno.
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