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martedì 15 marzo 2011

Trattativa: 1800 pagine per risalire alla verita'

Presentati dai pm i verbali con gli interrogatori ai pentiti e alle istituzioni del biennio stragistadi Anna Petrozzi - 15 marzo 2011
Con buona pace di chi avrebbe voluto la questione della trattativa liquidata in quattro e quattro otto, questa mattina il pm Nino Di Matteo ha depositato 1800 pagine di documenti da acquisire al processo Mori e Obinu, incentrati proprio sul dialogo tra mafia e Stato avvenuto a cavallo del biennio ’92,’93.


Si tratta di ulteriori dattiloscritti forniti da Massimo Ciancimino, delle varie note spuntate dai cassetti dell’Antimafia e dal Viminale relative alle proroghe del 41 bis, dei verbali di interrogatorio dei tanti protagonisti di quella oscura stagione sentiti dai pm di Palermo negli ultimi mesi: i presidenti emeriti Scalfaro e Ciampi, il professor Conso, l’ex ministro Martelli, l’ex direttore dell’ufficio detenuti Andrea Calabria, il direttore del Dap Adalberto Capriotti successo a Niccolò Amato, il prefetto Antonio Dacunto che aveva partecipato alla riunione del comitato per l’ordine e la sicurezza in cui era emersa la contrarietà di alcuni alla conferma del regime del carcere duro, Edoardo Fazioli, Liliana Ferraro… La Procura ha chiesto inoltre di risentire lo stesso Massimo Ciancimino in merito alla decisione del padre di assumere quale avvocato difensore Niccolò Amato, su consiglio dei carabinieri, stando a quanto dichiarato dal testimone; il pentito Giovanni Brusca che dopo 14 anni ha deciso di colmare i molti fondamentali buchi alle sue dichiarazioni e Angelo Siino. Questi aveva recentemente riferito di colloqui investigativi avuti nel 1993 con Mori e De Donno anche in merito alla ricerca dei latitanti Provenzano e Brusca. Durante questi interrogatori – secondo Siino – “non avrebbero più destato interesse le informazioni su Provenzano, quindi ci si doveva concentrare su Brusca”.
Il lavoro per districarsi tra tutta questa mole di lavoro appare quindi ancora lungo e la difesa, rappresentata dall’avvocato Milio, prima di pronunciarsi, ha chiesto un tempo limite per poter valutare le proposte del pm.
Intanto dalle prime indicazioni sul materiale depositato sappiamo che sia Scalfaro che Ciampi non ricordano che vi siano stati confronti o discussioni sul 41 bis e sulle eventuali proroghe ne di essere stati destinatari di note in merito. Ancor meno hanno avuto informazioni circa una possibile richiesta di trattativa con la mafia. Ciampi ha ribadito, come già aveva fatto in passato, di aver temuto il colpo di Stato, quando la notte delle bombe di Roma e Milano erano saltate anche le linee telefoniche. Ha precisato però che si trattò di una sua valutazione dovuta alla “eccezionalità oggettiva di quegli avvenimenti e non da notizie precise” in suo possesso. Anzi ha aggiunto: “Io personalmente ho maturato il convincimento che quelle bombe fossero contro il governo da me presieduto. Ciò perché ho constatato che gli attentati iniziarono, con quello di via Fauro, poco dopo l’insediamento di quell’esecutivo e cessarono pressoché contestualmente al momento in cui, nel dicembre 1993, rassegnai le dimissioni”.
La vera novità però sono le recenti dichiarazioni di Giovanni Brusca. Il pentito di Capaci, dopo essere stato accusato dai magistrati di aver gestito illecitamente un certo ammontare di denaro, ha chiesto di poter parlare con i pm per dire ciò tutto quanto a sua conoscenza sul retroscena di quel dialogo che per primo aveva definito “trattativa”. Dopo essersi scusato per la sua reticenza con il procuratore Messineo e il sostituto Lia Sava ha spiegato che tra il 1986 e 1987 Cosa Nostra aveva preparato un attentato ai danni di Silvio Berlusconi perché questi tornasse a pagare la sua “messa a posto” (l’ammontare era di circa 600 milioni di lire l’anno) per le antenne Mediaset così come faceva quando era in vita Stefano Bontade.
“Nell'86 o '87, ora non mi ricordo, il mandante era Ignazio Pullarà (boss di Palermo ndr) e gli esecutori erano Peppuccio Contorno della famiglia di Santa Maria di Gesù e un certo Francesco o Salvatore Zanca, questo è scomparso per lupara bianca - racconta Brusca nel verbale - Costoro sono stati quelli che hanno fatto l'attentato al.. nel cancello della villa di Berlusconi per indurlo a tornare a pagare la cosiddetta messa a posto, che dopo la morte di Stefano Bontade l'aveva sospeso, e credo che si trattava di 600 milioni l'anno, ora non mi ricordo, comunque Ignazio Pullarà mi ha detto la cifra». E prosegue: «Avevano sistemato tutto attraverso Cinà, quello morto. Dopodiché a causa di questo fatto che Ignazio Pullarà aveva preso di iniziativa sua senza dire niente a Riina, più altre cose che io purtroppo non ho avuto il tempo di approfondire». Il pentito sostiene che il boss «Ignazio Pullarà diciamo fu estromesso dal suo ruolo di reggente, che poi fu il ruolo che prese Pietro Aglieri. So che la gestione di questi soldi poi passò in mano a Salvatore Riina, che io non ho mai visto, so che arrivavano questi soldi, li gestiva, in particolar modo li dava alla famiglia di Resuttana dove era impiantato l'antenna e poi pensava per tutti gli altri, cioè necessità di processi, carcerati. So che li divideva in questa maniera, li faceva arrivare alle famiglie».
Questi contatti economici sono nell’ottica di Cosa Nostra anche un ponte utile per arrivare alla politica. Dopo che erano saltati i referenti tradizionali, “Andreotti ha cambiato idea nell’82, prima che cominciò la collaborazione di Tommaso Buscetta e da quando Tommaso Buscetta cominciò a collaborare, Andreotti ha chiuso ogni.. ogni porta e quindi ci veniva difficile poter ottenere quel risultato positivo, perché i Salvo a livello locale qualche cortesia riuscivano a farla, a livello nazionale.. nazionale non sono stati più in condizione di poterci favorire”, Riina aveva cercato di arrivare a Craxi proprio grazie all’amico imprenditore Silvio Berlusconi. La posta in palio allora era la sentenza di Cassazione per il maxi processo, ma con la discesa in campo direttamente del Cavaliere le mire diventarono ben altre.
Dopo la morte di Lima, nel marzo del 1992, “Riina mi disse che Vito Ciancimino e Marcello Dell'Utri si erano proposti quali nuovi referenti per i rapporti con i politici... Riina riteneva scarsamente affidabili Ciancimino e Dell'Utri, Ciancimino, infatti, a suo dire, era troppo affezionato a Provenzano. Dell'Utri, invece, era visto da Riina come erede di Stefano Bontade, perché vicino a quest'ultimo».
Tuttavia il susseguirsi degli eventi avrebbe cambiato le varie prospettive. Infatti Brusca divide i colloqui con i vari interlocutori in due momenti diversi.
La cosiddetta “trattativa con papello” sarebbe stata una risposta diretta al Ministro Mancino che avrebbe fatto sapere ad un Riina euforico: “Che volete per finirla con le stragi?”.
Anche Bagarella, secondo Brusca, aveva seguito la questione da molto vicino tanto che “quando ci sentimmo traditi da Mancino, volevamo organizzare un attentato ai suoi danni”.
Successivamente però, nel 1993, l’attenzione si era spostata su Berlusconi e sul nascente partito di Forza Italia. “Quando Mangano è tornato da Milano era soddisfatto perché aveva incontrato Dell’Utri (anche se non era riuscito a incontrare anche Berlusconi) ed aveva avuto risposta positiva. Le richieste erano connesse alla sospensione di maltrattamenti in carcere. Volevamo la chiusura di Pianosa e Asinara e, nel tempo, far affievolire il 41 bis. Poi i diversi canali (Mangano e i Graviano, questi ultimi avevano anche strade diverse per arrivare a Berlusconi, in particolare l’imprenditore Ienna) sono stati arrestati e le cose si sono arenate”.
Anche in questa occasione l’ex ministro Mancino ha respinto con fermezza le accuse di Brusca, ma la sua linea difensiva di totale “non so, non ricordo” è stata messa a dura prova anche dall’ex collega Martelli che si dice certo di avergli riferito dell’iniziativa del Ros di contattare Ciancimino. Non in riferimento ad alcuna trattativa, specifica ben bene anche l’ex guarda-sigilli, ma per l’iniziativa poco ortodossa intrapresa dal corpo speciale dei carabinieri.
“Ricordo perfettamente - ha messo a verbale - di averne parlato con il ministro degli Interni lamentandomi del comportamento dei Ros, 'che stanno facendo questi? Perché pigliano iniziative autonome? Le indagini sono affidate a dei Magistrati e per quello che riguarda l'aspetto politico o legislativo ce ne occupiamo noi nel Governo, cosa c'entrano i Ros con questa storia, perché pigliano delle iniziative, e lui nega risolutamente, mi dispiace, ma io ricordo di averlo avvertito”.
Insomma la palla è tornata a centro campo. Non sono più solo le istrioniche testimonianze di Massimo Ciancimino, ma tutto un corpus di atti e di dichiarazioni che attraversano la scena, anzi il retroscena, delle vicende politiche del biennio che ha cambiato i connotati ad un’intera classe politica.
Il tentativo di fare chiarezza però non dovrebbe essere esclusiva prerogativa del giudice Fontana che preside la Corte o dei pm che sostengono l’accusa nel nome del popolo italiano, ma anche di quei pochi politici onesti che davvero vogliono la verità e di tutta la società civile che ha capito che in quel biennio si sono progettate le manovre necessarie all’attacco spregiudicato alla Costituzione e alle strutture della democrazia che viviamo oggi.
La verità su quelle stragi è una chiave fondamentale per la coscienza storica e civile del nostro Paese, la radice da cui attingere per comprendere il sistema criminale che ci sovrasta, smascherarlo e isolarlo.


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