Il telefonino della 13enne, scomparsa il 26 novembre, resta acceso molto di più di quanto filtrato fino ad ora. Si segue anche lo scenario di una ritorsione. Spuntano imprenditori arrestati per droga e l'ombra del clan Mazzarella
Dieci minuti. Tanti o pochi che siano. E’ dentro a questa manciata di secondi che molto probabilmente si giocano le indagini su Yara Gambirasio, la 13enne scomparsa nel pomeriggio del 26 novembre scorso. Da allora Brembate, popoloso paesone in provincia di Bergamo, è al centro delle cronache nazionali. Insomma, l’onda lunga di Avetrana dalla Puglia è rimontata fino nel profondo nord padano. E ora, dopo gli inciampi investigativi con il fermo del giovane marocchino Mohamed Fikri e le vane ricerche inseguendo il fiuto dei cani, la svolta potrebbe arrivare dal tracciato del cellulare di Yara.
Il telefonino, infatti, non è stato acceso solo per quattro minuti. Ma sei di più. Numeri che possono fare la differenza. A questo va aggiunto un altro dato temporale. Gli otto minuti che ci vogliono per andare dalla villetta della famiglia Gambirasio fino al palazzetto dello sport dove la ragazzina doveva incontrare le allenatrice della sua squadra di ginnastica ritmica. La soluzione sta qui. Ne sono convinti gli investigatori. Yara si trova in questo fazzoletto spazio-temporale. Il cellulare è un’ottima fonte di indizi. Traccia il movimento, indica la direzione. Non, però, il nome di chi ha rapito e probabilmente ucciso la ragazza. In questo senso, l’orientamento di polizia e carabinieri tende a escludere l’ambito familiare, ma non quello della cerchia degli amici dei Gambirasio. E’, però, in questo momento che le mezze certezze lasciano il passo ai dubbi. A partire dal movente. Non è detto, infatti, che alla base della scomparsa ci sia una motivazione a sfondo sessuale.
Lo scenario, dunque, resta aperto. E dentro a questo scenario prende corpo l’ipotesi di una ritorsione legata alla criminalità organizzata. Il padre di Yara, infatti, è impiegato per l’impresa Gamba, che sta lavorando alla costruzione di un centro commerciale di Mapello. In quel cantiere si cerca da giorni. Ed è sempre lì che ha lavorato Mohamed Fikri, il 22enne marocchino fermato (e poi rilasciato) con l’accusa di sequestro di persona, omicidio e occultamento di cadavere. Nelle ultime ore emerge, però, un altro particolare. In quel cantiere lavora anche la ditta Lopav. L’impresa si occupa di pavimentazione. E per la ditta Gamba ha ottenuto un subappalto in un cantiere di Milano. Qualcosa, però, non funziona. Patrizio Locatelli, il titolare della Lopav, dal 13 ottobre si trova in carcere con l’accusa di traffico internazionale di droga. Una brutta storia che parte da Napoli e si impasta con gli interessi del clan camorristico Mazzarella.
Ecco i fatti: Patrizio in carcere ci finisce assieme al fratello Massimiliano. L’arresto arriva a cinque anni distanza di quello del padre Pasquale Claudio Locatelli, broker della cocaina in contatto con i cartelli dei narcos colombiani. Secondo gli investigatori della Dda napoletana traffico di droga e riciclaggio vengono gestiti in famiglia. Con Massimiliano addetto alla consegna di denaro a un trafficante spagnolo. Mentre Patrizio, sempre dallo stesso personaggio, ricve centinaia di migliaia di euro da reinvestire in imprese italiane. Probabilmente nella stessa Lopav, oggi in amministrazione giudiziaria e con un valore della produzione che supera i 17 milioni di euro. Non è un caso che la ditta tempo fa si è anche aggiudicata un appalto per la ricostruzione dell’Aquila devastata dal terremoto.
Ma ciò che inquieta è soprattutto la figura di Pasquale Claudio Locatelli, originario della Bergamasca, e appassionato di Spagna dove viene arrestato da latitante. Qui lo chiamano Mario di Madrid. Lui fa affari con i narcos colombiani. Tratta ad altissimo livello fino ad avere raporti con il defunto Pablo Escobar. In Europa coordina e smista i carichi. Un’attività che lo metterà in contatto con gli uomini del clan Mazzarella che proprio in Spagna da anni hanno impiantato il loro centro operativo per il traffico di dorga.
A Bergamo, i Locatelli sono molto conosciuti. In curriculum, loro possono mettere conoscenze di livello. Anche politico. Locale, ma non solo. Questi i fatti. Che però non aiutano a chiarire fino in fondo la scomparsa di Yara. Nella serata di ieri è stata smentita anche la notizia di una testimonianza del padre della 13enne nel processo a carico di Locatelli senior. L’ipotesi di una ritorsione resta, dunque, fumosa. Bisognerebbe ipotizzare un affare andato male a causa dell’intromissione di Gambirasio. Dopodiché l’occultamento di un cadavere all’interno del cantiere dove opera la Lopav appare inverosimile. O quantomeno distante dalla logica della criminalità organizzata molto più incline a esecuzioni a colpi di pistola. Anche per questo, gli investigatori puntano seriamente su quei dieci minuti fatali.
di Paolo Grasso
Il telefonino, infatti, non è stato acceso solo per quattro minuti. Ma sei di più. Numeri che possono fare la differenza. A questo va aggiunto un altro dato temporale. Gli otto minuti che ci vogliono per andare dalla villetta della famiglia Gambirasio fino al palazzetto dello sport dove la ragazzina doveva incontrare le allenatrice della sua squadra di ginnastica ritmica. La soluzione sta qui. Ne sono convinti gli investigatori. Yara si trova in questo fazzoletto spazio-temporale. Il cellulare è un’ottima fonte di indizi. Traccia il movimento, indica la direzione. Non, però, il nome di chi ha rapito e probabilmente ucciso la ragazza. In questo senso, l’orientamento di polizia e carabinieri tende a escludere l’ambito familiare, ma non quello della cerchia degli amici dei Gambirasio. E’, però, in questo momento che le mezze certezze lasciano il passo ai dubbi. A partire dal movente. Non è detto, infatti, che alla base della scomparsa ci sia una motivazione a sfondo sessuale.
Lo scenario, dunque, resta aperto. E dentro a questo scenario prende corpo l’ipotesi di una ritorsione legata alla criminalità organizzata. Il padre di Yara, infatti, è impiegato per l’impresa Gamba, che sta lavorando alla costruzione di un centro commerciale di Mapello. In quel cantiere si cerca da giorni. Ed è sempre lì che ha lavorato Mohamed Fikri, il 22enne marocchino fermato (e poi rilasciato) con l’accusa di sequestro di persona, omicidio e occultamento di cadavere. Nelle ultime ore emerge, però, un altro particolare. In quel cantiere lavora anche la ditta Lopav. L’impresa si occupa di pavimentazione. E per la ditta Gamba ha ottenuto un subappalto in un cantiere di Milano. Qualcosa, però, non funziona. Patrizio Locatelli, il titolare della Lopav, dal 13 ottobre si trova in carcere con l’accusa di traffico internazionale di droga. Una brutta storia che parte da Napoli e si impasta con gli interessi del clan camorristico Mazzarella.
Ecco i fatti: Patrizio in carcere ci finisce assieme al fratello Massimiliano. L’arresto arriva a cinque anni distanza di quello del padre Pasquale Claudio Locatelli, broker della cocaina in contatto con i cartelli dei narcos colombiani. Secondo gli investigatori della Dda napoletana traffico di droga e riciclaggio vengono gestiti in famiglia. Con Massimiliano addetto alla consegna di denaro a un trafficante spagnolo. Mentre Patrizio, sempre dallo stesso personaggio, ricve centinaia di migliaia di euro da reinvestire in imprese italiane. Probabilmente nella stessa Lopav, oggi in amministrazione giudiziaria e con un valore della produzione che supera i 17 milioni di euro. Non è un caso che la ditta tempo fa si è anche aggiudicata un appalto per la ricostruzione dell’Aquila devastata dal terremoto.
Ma ciò che inquieta è soprattutto la figura di Pasquale Claudio Locatelli, originario della Bergamasca, e appassionato di Spagna dove viene arrestato da latitante. Qui lo chiamano Mario di Madrid. Lui fa affari con i narcos colombiani. Tratta ad altissimo livello fino ad avere raporti con il defunto Pablo Escobar. In Europa coordina e smista i carichi. Un’attività che lo metterà in contatto con gli uomini del clan Mazzarella che proprio in Spagna da anni hanno impiantato il loro centro operativo per il traffico di dorga.
A Bergamo, i Locatelli sono molto conosciuti. In curriculum, loro possono mettere conoscenze di livello. Anche politico. Locale, ma non solo. Questi i fatti. Che però non aiutano a chiarire fino in fondo la scomparsa di Yara. Nella serata di ieri è stata smentita anche la notizia di una testimonianza del padre della 13enne nel processo a carico di Locatelli senior. L’ipotesi di una ritorsione resta, dunque, fumosa. Bisognerebbe ipotizzare un affare andato male a causa dell’intromissione di Gambirasio. Dopodiché l’occultamento di un cadavere all’interno del cantiere dove opera la Lopav appare inverosimile. O quantomeno distante dalla logica della criminalità organizzata molto più incline a esecuzioni a colpi di pistola. Anche per questo, gli investigatori puntano seriamente su quei dieci minuti fatali.
di Paolo Grasso
Nessun commento:
Posta un commento