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martedì 28 dicembre 2010

Giallo ad Altamura sparisce il teste protetto

di Mara Chiarelli - 28 dicembre 2010
Dipalo denunciò il malaffare. E' scomparso da tre giorni dalla località protetta in cui vive con moglie e figli.
Lo stesso periodo di tempo trascorso, per coincidenza, da quando i carabinieri di Bari e Altamura hanno scovato e arrestato Giovanni Loiudice, ritenuto il mandante dell’omicidio del boss Bartolo Dambrosio.

Il teste di giustizia Francesco Dipalo, che raccontò il malaffare ad Altamura, è scomparso da tre giorni dalla località protetta in cui vive con moglie e figli. Lo stesso periodo di tempo trascorso, per coincidenza, da quando i carabinieri di Bari e Altamura hanno scovato e arrestato Giovanni Loiudice, ritenuto il mandante dell’omicidio del boss Bartolo Dambrosio.
Due episodi apparentemente indipendenti, ma le cui cronache si intrecciano in una vicenda dai contorni ancora poco chiari, e che riguarda i business illeciti nella cittadina murgiana. E mentre ieri mattina Loiudice, comparso dinanzi al gip Vito Fanizzi per l’interrogatorio di garanzia, raccontava i suoi rapporti con Dambrosio, la moglie di Dipalo cercava invano una spiegazione all’assenza di suo marito, cominciata il giorno di Natale.

Ma la scomparsa dell’imprenditore altamurano ha un precedente che potrebbe spiegare tutto. Dipalo, che negli anni scorsi aveva anche denunciato di essere stato sequestrato e picchiato nella caserma dei carabinieri di Altamura, a metà dicembre era tornato a Bari a causa di una patologia grave, non curabile nel posto di residenza. «Alla stazione di Bari — racconta sua moglie, Laura — abbiamo trovato tre carabinieri ad aspettarci, due dei quali erano di Altamura. Mio marito, dopo quello che gli era successo, non ha voluto entrare nella loro auto. E siamo tornati subito in località protetta. Da lì ha scritto un esposto alla Procura di Bari, chiedendo chiarimenti sulle indagini in corso, ma non ha avuto risposta».

La mail alla Dda è stata inviata la vigilia di Natale, la mattina dopo l’uomo è scomparso, lasciando a casa denaro, telefono cellulare e auto. Niente spiegazioni a sua moglie che ancora dormiva, nemmeno una lettera: «Ci hanno abbandonato al nostro destino, usati e buttati via. In questi due anni — denuncia — non ho ricevuto nemmeno sostegno psicologico, totale indifferenza da parte di tutti. Se dovesse succedergli qualcosa, se dovesse fare qualche atto estremo, voglio che la gente sappia: denunciare non serve, è meglio non farlo. Quello che ti fa lo Stato è peggio di quel che fanno i delinquenti».
E intanto, ieri, Giovanni Loiudice, 48 anni, ha spiegato al giudice che lo interrogava la sua versione dei fatti, riguardo l’agguato di Bartolo Dambrosio, ucciso il 6 settembre scorso con oltre 30 colpi di arma da fuoco da un commando del quale secondo la Procura antimafia di Bari facevano parte anche i due figli, Michele e Alberto Loiudice. Proprio i due ragazzi sarebbero stati, ha giurato, il motivo per cui a metà luglio ha lasciato la vita dorata del Sud America per tornare ad Altamura.

Nessun interesse per i traffici illeciti, dunque, nessun tentativo di strapparne il monopolio a Dambrosio, ha assicurato, ma solo il desiderio di un padre di riallacciare i legami familiari. Quanto al delitto, ha escluso di averlo programmato, visto che con Bartolo Dambrosio ci sarebbero stati sempre ottimi rapporti, derivanti anche dall’aver condiviso in più occasioni la stessa cella, nelle carceri di Bari e Trani.

Tratto da:
bari.repubblica.it

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