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domenica 5 dicembre 2010

Un "dizionario mafioso"



di Giovanni Marinetti
Si chiama dizionario ma è una vera e propria mappa, in ordine alfabetico, che traccia i luoghi dell’immaginario mafioso. È l’ultimo libro di Vincenzo Ceruso, Dizionario mafioso-italiano, italiano-mafioso (Newton Compton Editori, pp 336, euro 9,90), già autore di un altro libro-inchiesta fondamentale, Le sagrestie di Cosa Nostra. Non è il classico dizionario asettico, freddo, compilativo, ma proprio una mappa tra termini e storie, nomi e interpretazioni che aiutano a capire. Soprattutto che aiutano a riflettere, oltre la cronaca, oltre il semplice racconto. 

Così, tra le parole, troviamo anche “Avvocati”. E ci vuole coraggio per iniziare a riflettere sui confini che la mafia travalica, con naturalezza alle volte. Un capitolo molto innovativo, che da solo vale tantissimo, un intero passo in avanti nel modo di vedere i fenomeni mafiosi, per comprendere come possono infil(tr)arsi nel potere. Sarebbe ora di interrogarsi su come sono pagati gli avvocati dei mafiosi e da dove vengono quei soldi, sui problemi di ordine deontologico, sui rischi che provengono da un ingresso dell’avvocato di mafiosi nell’attività politica e il conflitto di “interessi” che ne consegue. Bisogna rompere ogni legame tra la mafia e il potere, in ogni sua forma, prevenendo ogni rischio.

Ancora, troviamo la “Trattativa”, divisa in tre atti, e parlarne è spingere chi sa a dire ciò che è accaduto, perché è tempo di sapere. Ogni cosa, ogni singola cosa. 

Le parole del libro sono tante, l’immaginario mafioso - che è fatto anche di gesti e parole non dette, di silenzi e di atti di violenza, codici (semantici) di straordinaria efficacia – è descritto in maniera semplice e con ricostruzioni puntuali. E tanti sono i nomi, i personaggi, da Falcone a Buscetta, da Don Puglisi a Riina, pezzi di un puzzle che ha luci e ombre e che è storia del nostro paese, al Sud come al Nord.

Infine, è un’altra la parola che segnaliamo: “Consapevolezza”, soprattutto riferita alla classe politica. «Se il cittadino comune – scrive Ceruso – in una certa misura, può essere giustificato perché, inconsapevolmente, ha stretto relazioni di una qualche consistenza con un affiliato a Cosa Nostra, la stessa giustificazione non può valere per un uomo politico o per un rappresentante delle Istituzioni. In questo caso, egli non ha voluto mettere in atto tutti gli strumenti informativi di cui dispone e che solitamente utilizza per filtrare i suoi rapporti con la società civile. La mancanza di consapevolezza si confonde dunque con il disinteresse ad affrontare la questione della mafia. E se ciò non è sufficiente a configurare un reato dimostrabile in sede processuale, può esserlo a motivare un giudizio di natura etica e politica». 

Per sconfiggere la mafia è necessario capire il suo mondo, analizzando le parole dei mafiosi e orientandosi con le analisi e le testimonianze di quella “minoranza creativa”, fatta di giudici, giornalisti, sacerdoti, intellettuali e operatori, che hanno un’altra idea di onore. Più giusta. Più vera.

5 dicembre 2010

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