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venerdì 28 gennaio 2011

A proposito di un deliberato del Consiglio Giudiziario di Catania



di Giambattista Scidà - 28 gennaio 2011Nella imminenza dei pareri del Consiglio Giudiziario sui concorrenti all’Ufficio di Procuratore della Repubblica presso questo Tribunale, depositai in segreteria dell’Organo uno scritto sul Caso Catania, come successione di fatti, tutti concatenati, che occupano l’ultimo trentennio della storia cittadina: in primo piano, quasi sempre, uno di quei magistrati. La rassegna muoveva dalla vigilia dell’appalto per la Pretura di Via Crispi (1982) per giungere sino alle assoluzioni (2006, 2009) dei capi del clan Laudani dal reato di falsa intestazione, alla Società “Di Stefano”, di ville bifamiliari, costruite dall’89 in poi in San Giovanni La Punta, Via Montello; e passava per certo processo ad istruzione sommaria (1988) nel quale erano implicati due Laudani, e per l’acquisto fatto dal magistrato istruttore poco dopo, di una di quelle ville, della prima ad esser costruita (preliminare dell’89 o ’90; atto definitivo del gennaio ’91). La narrazione passava altresì per le questioni catanesi delle quali il magistrato si occupò poi da membro del CSM, nel quadriennio ’94-’98. Essa diceva quindi dell’assassinio  (24/02/’97) di Rizzo Carmelo, socio attraverso la moglie della Società “Di Stefano”, e storico manager e prestanome dei Laudani, e si soffermava sul modo che fu tenuto, durante l’assenza del magistrato dalla Procura e anche dopo che egli vi ebbe fatto rientro, dal Procuratore della Repubblica Aggiunto (2000), nelle indagini su quel delitto; e ampio posto faceva al trattamento del processo per falsa intestazione delle ville di San Giovanni La Punta: non incriminazione, per concorso, dei soci della Società intestataria; non sequestro delle ville, o dissequestro di esse; tenace affermazione di infermità mentale dell’imputato Laudani, come ostacolo alla celebrazione dell’udienza preliminare; inaudito scontro (ottobre 2005), finito sui giornali, tra il Procuratore della Repubblica, nominato nel 1996, e il Capo dell’Ufficio Gip. Il primo pretese che il secondo revocasse, per impedire l’udienza, l’autorizzazione alla necessaria trasferta a Parma, perché “inutile”; il successivo replicò non essergli mai accaduto, in quarant’anni, che una parte processuale volesse coartare la volontà del libero giudice: nessun ostacolo egli avrebbe frapposto al corso dell’udienza; lo denunciasse pure, il Procuratore, come minacciava di voler fare, alla magistratura contabile, per la spesa. La mia narrazione accompagnava quella vicenda sino alle suaccennate sentenze assolutorie, sollecitate dal PM di udienza sull’assunto, mai formulato da alcuno, in vent’anni, non esser provato che dalla Società intestataria fosse stato socio il Rizzo. Le assoluzioni così richieste produssero sulla posizione del magistrato compratore, sempre presente in Procura o come Aggiunto o come Sostituto, mentre esse venivano richieste e pronunciate, effetti grandemente vantaggiosi, e non solo di ordine morale: alla condanna sarebbe conseguita confisca.
Nella circostanziata esposizione a mia firma che il Consiglio Giudiziario aveva cogente ragione di prendere in esame, entravano anche, insieme con le mie dichiarazioni alla Commissione Antimafia (7/12/2000), sull’acquisto della villa, la smentita che l’interessato ingiustamente mi inflisse, in ogni sede, con vasto clamore, producendo come veridico l’atto di compravendita, dal quale appariva costruttore e venditore un innocente cav. Arcidiacono, affatto estraneo alla mafia; ed entrava la smentita che l’Arcidiacono inflisse a lui, giustamente, rivelando ai CC di non aver costruito alcunché e di non nulla avere intascato del prezzo, e perdippiù consegnando la controdichiarazione a suo tempo rilasciatagli dall’acquirente per ottenere che egli si prestasse a quella finzione.

Il Consiglio si è spicciato, d’un colpo, di tutti i fatti così precisamente segnalatigli, con una deliberazione – pubblicizzata da La Sicilia e da La Repubblica – che oltre a svalutarli perché pregressi (sul quale punto non ci può essere disaccordo, chè non del futuro io mi sono “ricordato”, come il profeta biblico, ma solo di cose già avvenute, allorché ne scrivevo), li asserisce irrilevanti, perché ormai definiti nelle competenti sedi istituzionali: come se la definizione, ad altri effetti, abbia potuto, quando c’è stata, abolire il significato e la portata dei fatti, ai fini di competenza del Consiglio; e come se in taluni casi non ne abbia, proprio essa, fatto emergere altri, non meno significativi (questo ha fatto, per esempio, la richiesta della Procura Repubblica di Messina, del 14/07/2003, di archiviazione di certi atti, con le sue confutazioni dell’assunto dell’indagato, di non aver mai conosciuto il Rizzo); per non dire che in altri casi ancora è proprio la definizione (le assoluzioni anzidette, e il modo in cui furono determinate) a costituire essa stessa, ai fini del parere, un fatto rilevante.

Purtroppo, al Caso Catania il Consiglio Giudiziario ha così aggiunto un altro capitolo. Triste.


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