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lunedì 7 febbraio 2011

Comitato antimafia di Brescia

L'8 novembre del 2003 si tenne a Brescia un convegno dal titolo “Potere mafioso e movimento antimafia”, in quell'occasione noi organizzatori lanciammo la proposta di costituire un comitato antimafia nella nostra provincia. Non eravamo molto fiduciosi perché di mafia non si parlava più da troppi anni ma i fatti ci dimostrarono il contrario: non solo la partecipazione al convegno fu molto alta ma si riuscì a costituire un comitato che da allora lavora sul territorio con iniziative di varia natura.

La mafia come problema centrale dell'Italia

Subito dopo la stagione delle stragi del 1992 e del 1993 - che portarono all'uccisione dei magistrati Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e delle loro scorte e agli attentati di Milano, Firenze e Roma - la società civile aveva reagito alla violenza della mafia in tutta la nazione. Ma a distanza di anni l'attenzione verso il problema mafia da parte dei mezzi di comunicazione, dei soggetti politici e dell'opinione pubblica è praticamente inesistente. Come se la mafia non esistesse più solo perché non commette delitti eccellenti o perché numerosi boss sono stati catturati e condannati grazie al lavoro della magistratura. Ma ciò non è, purtroppo, stato sufficiente, siamo ben lontani dall'avere sconfitto la mafia che al contrario detiene saldamente il controllo del territorio di alcune regioni italiane così come il controllo di traffici illeciti di armi e droga, della prostituzione, di esseri umani, di rifiuti, gestisce appalti, racket e usura. Sussistono ancora i rapporti col potere politico, economico e finanziario, le infiltrazioni nella burocrazia amministrativa e nelle forze dell'ordine. Dal 2005 c'è una maggior attenzione da parte dei mass media dovuta alle faide nel napoletano, soprattutto tra le cosche camorristiche del quartiere Scampia e a causa dell'assassinio del vicepresidente del Consiglio della Regione Calabria Francesco Fortugno. Ma ancora una volta ci si occupa di mafia solo dopo fatti eclatanti, mentre la mafia prolifera maggiormente nei periodi di calma, quando forze dell'ordine, società civile e mondo politico guardano ad altro. Mentre la mafia è un problema grave ed endemico della nostra nazione tanto che non si dovrebbe mai abbasare la guardia. è proprio nei periodi più “tranquilli” che la mafia gestisce meglio i propri affari.

La mafia non è un problema solo del sud

Col nostro lavoro intendiamo riportare al centro dell'attenzione il problema mafia. Ma perché un comitato antimafia proprio a Brescia? La domanda, che ci sentiamo ripetere troppe volte, è sintomo del fatto che l'opinione pubblica non ha ancora compreso che il problema mafia è un problema nazionale e internazionale e non relegabile solo alle regioni del Sud Italia. La mafia non è semplice crimine organizzato ma si caratterizza anche col controllo del territorio e con relazioni esterne, come detto prima, con collusioni e intreccio di interessi col mondo politico, economico e finanziario. Se non ci fossero questi altri aspetti la mafia sarebbe solo un fenomeno criminale militare e la sua sconfitta sarebbe decisamente più facile. Ecco perché insistiamo sul fatto che il problema sia nazionale e non locale: perché le relazioni esterne che sono colluse con la mafia non sono presenti solo nel sud.

La mafia e la politica

I rapporti tra la mafia e il mondo politico risalgono agli inizi del fenomeno mafioso: nel 1893 Emanuele Notarbartolo, ex sindaco di Palermo, viene ucciso dalla mafia, il mandante è il deputato liberale Raffaele Palizzolo vicino al mafioso Giuseppe Fontana; alla fine dell'iter giudiziario entrambi vengono assolti per insufficienza di prove. Ciò sta a testimoniare, a scapito di banali luoghi comuni, che sin dagli inizi la mafia è stata espressione di interessi dei poteri forti della società e della politica nazionale. Venendo ai giorni nostri gli esempi di collusioni tra mafia e politica sono numerosissimi e non sempre gli omicidi mafiosi sono da imputare unicamente a Cosa Nostra, bensì anche al potere politico. Sull'omicidio Dalla Chiesa il collaboratore Tommaso Buscetta ha dichiarato:«Dalla Chiesa era un problema che va al di là della mafia». Già nel 1979 prima che il generale dei carabinieri si occupasse di mafia, Cosa Nostra chiese a Buscetta che era detenuto nel carcere di Cuneo, di contattare qualche brigatista per sapere se le BR sarebbero state disponibili a rivendicare un eventuale omicidio di Dalla Chiesa, compiuto da Cosa Nostra. La proposta non fu accettata. Ma che interesse avrebbe avuto Cosa Nostra ad uccidere Dalla Chiesa nel 1979? Il sospetto che qualcuno avesse chiesto alla mafia di assassinare il generale è legittimo. Quando Buscetta apprese dell'omicidio di Dalla Chiesa si trovava in Brasile con Badalamenti che disse:«qualche uomo politico si era sbarazzato, servendosi della mafia, della presenza troppo ingombrante». Anche sull'omicidio Falcone Buscetta ha asserito che il giudice «è stato ucciso di Cosa Nostra perché fu uno strenuo lottatore contro la mafia (...) però è un mezzo per colpire altre cose, secondo il mio punto di vista». Dietro le bombe di Milano, Roma e Firenze del '93 c'è un disegno politico che le indagini della magistratura non hanno ancora chiarito. Per le bombe del 1993 sono stati coinvolti anche Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri, oggi condannato in primo grado a nove anni per collusione con la criminalità organizzata di stampo mafioso. Ma troviamo relazioni tra mafia e politica anche al di là degli omicidi eccellenti. I mafiosi procurano voti ai politici e questi gli garantiscono appalti, o leggi che tutelano i mafiosi, oppure l'abrogazione di leggi repressive contro i mafiosi, come la 41 bis sul carcere duro. Dal 1991 al 1999 oltre 150 amministrazioni comunali sono state sciolte per infiltrazione mafiosa, per più del 50% dei casi si trattava di recidiva. Alberto Alessi nel 1993 - quando era parlamentare della Dc, poi diventerà organizzatore dei Clubs di Forza Italia in Sicilia - entra nel carcere dell'Ucciardone e minaccia di non uscire fino all'abrogazione del 41 bis. L'ex senatore Dc Inzerillo, uomo dei fratelli Graviano mandanti dell'omicidio di padre Pino Puglisi, ha svolto il ruolo di intermediario tra mafia e potere politico per l'abrogazione del 41 bis. Indagini investigative hanno dimostrato che Salvatore Aragona, consigliere di Giuseppe Guttadauro, boss di Brancaccio, e con un passato giudiziario per favori alla mafia, ha intrattenuto rapporti con Marcello Dell'Utri a Milano con lo scopo di migliorare le condizioni carcerarie dei boss mafiosi. Totò Cuffaro (Udc), presidente della Regione Sicilia, il Ministro Gianfranco Micciché di Forza Italia sono stati ripresi dalle microspie dei Ros dei carabinieri in compagnia di emissari del boss Guttadauro, il quale a sua volta, ha intrattenuto rapporti con l'ex assessore comunale di Palermo Mimmo Miceli. Giuseppe Castiglione di Forza Italia è messo sotto accusa dalla procura di Catania per una presunta mediazione fra imprese protette dai boss. Nel luglio 2003 Castiglione viene assolto dall'accusa di concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso ma condannato per tentata turbativa d'asta a 10 mesi. Castiglione ha commentato con entusiasmo la sentenza, nonostante la condanna. Ciò dimostra la mancanza del senso di giustizia e di morale politica da parte dell'esponente di Forza Italia; del resto non è l'unico esempio nelle fila di quella coalizione. Ma la collusione con la mafia tocca anche esponenti politici del centro sinistra. Politici e imprenditori catanesi si sono ritrovati in un hotel di Roma per spartirsi gli appalti nel 1997. A quell'incontro c'erano: l'attuale vicepresidente della Regione Sicilia Giuseppe Castiglione (allora del CDU); Pino Firrarello, oggi parlamentare di Forza Italia e l'ex sottosegretario del governo Prodi, senatore Nuccio Cusumano. Altro esempio. Il deputato regionale Vladimiro Crisafulli (Ds) è stato ripreso da videocamere mentre si intratteneva in un ufficio col capomafia della provincia di Enna, l'imprenditore Raffaele Bevilacqua che cerca di controllare in modo illecito gli appalti pubblici servendosi di Crisafulli. Ma gli interessi nei controlli degli appalti ci sono anche per i politici, non solo per i mafiosi. Tuttavia, dobbiamo dire che la collusione tra mafia ed esponenti del centro-sinistra è più sporadica (anche se altrettando grave) rispetto a quella più organica tra mafia e centro-destra. La politica del governo Berlusconi sta favorendo la criminalità organizzata perché legalizza l'illegalità: abrogazione di falso in bilancio, legge sul condono per l'esportazione illecita di denaro all'estero, legge sulle rogatorie internazionali, legge sul condono edilizio, prese di posizione contro la magistratura, la legge Cirami, leggi emanate su misura per garantire l'immunità al presidente del consiglio o per garantire i propri interessi, dànno al cittadino un segnale di illegalità trionfante, principale caratteristica della mentalità mafiosa. Non dimentichiamo le vergognose dichiarazioni del Ministro Lunardi il quale nel 2001 affermò che bisogna convivere con la mafia per poter fare le opere in Sicilia. Un chiaro messaggio di non belligeranza alla mafia di Provenzano il quale, avendo capito che la tattica delle stragi era controproducente, ha preferito eliminare il livello di scontro con lo Stato. Quindi il discorso sulla mafia non si deve appiattire sulle figure mediatiche come Bernardo Provenzano o sui soliti traffici illeciti; invece dobbiamo chiederci chi ha aiutato i boss nella loro latitanza? Quali imprenditori, avvocati, medici, politici? Chi protegge la mafia, chi ottiene voti e favori?

Andreotti e la mafia

Restando sempre sul tema della collusione tra potere politico e potere mafioso non si può non affrontare la questione Andreotti. L'attuale senatore a vita ha intrattenuto rapporti con Cosa Nostra fino al 1980, come conclude la sentenza del tribunale di Palermo. Purtroppo l'articolo 416 bis che sancisce il reato in associazione a delinquere di stampo mafioso è del 1982. Ciò non toglie la gravità del fatto e non toglie che Andreotti era connivente, cosa ancora più grave essendo Ministro della Repubblica e da Presidente del Consiglio, con Cosa Nostra, ne curava i suoi interessi e ne traeva benefici ottenendo voti per la propria corrente della Dc. Stando alle indagini condotte dalla magistratura, «Andreotti ha coltivato relazioni con i boss mafiosi», «ha palesato agli stessi una disponibilità non meramente fittizia, ha chiesto favori, li ha incontrati, ha interagito con essi». I giudici ritengono provati incontri con i boss Badalamenti, Bontate, Andrea Manciaracina, quest'ultimo nel 1985 a Mazara del Vallo. Numerosi collaboratori di giustizia hanno parlato dei rapporti tra Andreotti e Cosa Nostra: Antonino Giuffré, Giuseppe Lipari, Tommaso Buscetta, Giovanni Brusca, Antonio Mammoliti della 'ndrangheta il quale ha raccontato che Andreotti chiese ed ottenne che Bontate intervenisse sul suo amico capomafia Girolamo Piromalli per fare cessare un'estorsione delle cosche calabresi contro l'imprenditore petrolifero Bruno Nardini, finanziere e portatore di voti per la corrente andreottiana nel Lazio, nei suoi impianti e stabilimenti in Calabria. Andreotti non condivise la decisione di Cosa Nostra di uccidere Mattarella ma anziché opporsi come avrebbe dovuto fare uno statista attraverso le istituzioni incontrò Bontate per chiedere spiegazioni e per dissuaderlo.

La mafia nel nord e a Brescia

La criminalità organizzata esiste anche nelle regioni del Nord dove è presente con transazioni finanziarie attraverso banche, rileva attività imprenditoriali anche piccole, si aggiudica appalti, ricicla denaro sporco e pratica i soliti traffici illeciti (droga, prostituzione, rifiuti, ecc.). In alcune zone esiste anche il racket. Oltre a gruppi di gangster autoctoni sono presenti anche mafie straniere: albanese, nigeriana, romena, russa, ucraina, cinese. Controllano la tratta di esseri umani e la prostituzione, usano metodi mafiosi come l'intimidazione interna ed esterna all'organizzazione. Questi tipi di reati sono presenti anche nella provincia di Brescia. Solo per citare alcuni esempi, ricordiamo l'operazione “Pandora” del 1991 che sgominò un traffico internazionale di beni trafugati da siti archeologici: la centrale era a Brescia. Nel novembre 2004 viene scoperto un traffico di prostituzione che porta a 30 arresti di cui 20 bresciani. Risultano implicate mafie dell'est e il clan calabrese dei Piromalli. Nel novembre del 2005 vengono arrestati 42 affiliati alla 'ndrangheta per racket nel Bresciano e nella Bergamasca. Non manca la presenza della camorra col traffico di stupefacenti nella zona del Lago di Garda. Come dimostrano i dati forniti dall'Ufficio del Commissario straordinario del Governo per la gestione e la destinazione dei beni confiscati alle organizzazioni criminali, el Bresciano sono stati infatti confiscati 7 beni immobili, 3 beni mobili, 22 beni mobili registrati. Di questi 3 sono stati destinati ma ancora nessuno consegnato. Questa è la situazione al 9 ottobre 2001. Inoltre, come pubblicato dal Giornale di Brescia l'11 novembre 2003, secondo la sede bresciana dell'Aicru (Associazione italiana per la lotta contro il racket e l'usura) in pochi mesi, oltre 250 artigiani e commercianti hanno denunciato di essere stati vittima di racket o usura. Si aggiunga che restano di difficile quantificazione e individuazione le operazioni di riciclaggio e investimento del capitale mafioso nel nostro territorio anche per la mancanza di attenzione e di studi in merito.

L'antimafia

La lotta al potere mafioso è prioritaria nel nostro Paese, bisogna liberarsi da esso poiché reprime la libertà e le soggettività. Disarticolare il sistema di oppressione mafioso significa anche avere il coraggio di fare i conti col proprio passato e recuperare la memoria. Nelle nostre iniziative non dimentichiamo mai il movimento antimafia: con ciò intendiamo parlare dei vari soggetti che combattono la mafia: la magistratura, il movimento antiracket, le cooperative sociali che riutilizzano i beni sottratti alla mafia, la società civile. Riteniamo che la lotta alla mafia non possa che avvenire attraverso una sinergia di queste forze, di questi attori sociali e politici, tale lotta, quindi, non può essere individuale ma collettiva, deve essere un movimento. «Da quando le parole, oltre che ai fatti, hanno caratterizzato l'evento, da quando la testimonianza dei collaboratori di giustizia ha spalancato le porte di una realtà prima sconosciuta o - comunque - difficilmente conoscibile, si è pervenuti a una situazione di non ritorno. La nuova consapevolezza costruita sulle parole e sui cadaveri, non consente più a nessuno di assumere una posizione di neutralità senza, al contempo, trasformarsi in complice, per quanto “involontario”, del sistema del potere mafioso. Un sistema di potere che - per sua natura - condivide gli stessi interessi della componente più spregiudicata della classe dirigente del nostro Paese: l'interesse al saccheggio delle risorse e all'accumulazione illecita del capitale, l'interesse all'impunità, alla riproduzione del consenso, alla perpetuazione del proprio stesso potere agito.» (A. Dino)

Perché non si è sconfitta la mafia

Perché lo Stato non è ancora riuscito a sconfiggere la mafia? Secondo Giovanni Falcone i motivi sono numerosi: la potenza dell'organizzazione mafiosa, la sua struttura che la rende impermeabile alle indagini; la mancanza di democrazia in Italia durante il Ventennio e poi il governo democristiano che ha monopolizzato il potere, soprattutto in Sicilia. Lo storico Paul Ginsborg individua tre cause nel fallimento dell'azione antimafia, in estrema sintesi: 1) i magistrati inquirenti non si sono resi conto fino in fondo di quanto il sistema mafioso permeasse l'intero sistema sociale; 2) la campagna denigratoria promossa contro i magistrati; 3) la questione mafia non è diventata prioritaria nell'azione dei governi dopo la stagione delle stragi fino ad oggi. Giovanni Falcone disse che la mafia è un fatto umano e come tale ha un inizio, un'evoluzione e una fine. Il nostro compito è quello di accelerare la sua fine.

Gli obiettivi del Comitato Antimafia di Brescia
 
La costituzione del Comitato è finalizzata ad unire tutte le persone e le associazioni presenti sul territorio bresciano che vogliano opporsi alla criminalità organizzata di stampo mafioso presente anche nella nostra provincia e che condividono la nostra analisi del fenomeno. Pare opportuno, quindi, compiere un monitoraggio delle forze che vogliano costituire e lavorare in questo coordinamento per:
  1. coinvolgere le istituzioni locali onde contrastare le infiltrazioni mafiose sul territorio attraverso appalti e traffici illeciti;
  2. promuovere una sensibilizzazione sul tema del fenomeno mafioso ritenuto, purtroppo, anche a livello nazionale un problema non prioritario;
  3. conoscere gli intrecci tra potere mafioso, potere politico e potere economico-finanziario, e cercare di inquadrare la questione-mafia non solo come problema di ordine pubblico;
  4. organizzare iniziative culturali, di approfondimento e di informazione sul fenomeno mafioso e sulle strategie di risposta ad esso valorizzando la memoria storica, gli uomini e i movimenti antimafia del nostro Paese;
  5. raccogliere, organizzare e diffondere documentazione sulle mafie e le possibili strategie per combatterle;
  6. coordinare un'attività capillare di monitoraggio sull'evoluzione del fenomeno mafioso.

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