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sabato 19 febbraio 2011

La mafia secondo Messina Denaro nel libro di Fabrizio Feo



di Rino Giacalone - 19 febbraio 2011
Crudeltà ed equilibrio, obbedienza e senso critico, regole antiche e moderna lucidità, dolce vita e monastico isolamento.
     Tutto e il suo contrario. Matteo Messina Denaro è “L’Assoluto”, così lo chiamano i fedelissimi, o ancora “la testa dell’acqua” oppure “u siccu”. Più di un capo carismatico: un oggetto di venerazione. Blasone mafioso riverito, la ferocia dei corleonesi e un fiuto politico spiccato, il padrino di Castelvetrano è il vero erede di una tradizione. Quella per cui Cosa nostra è antistato, ma anche potere reale, legge non scritta eppure rispettata, da almeno due secoli. Ben prima che i padri fondatori della mafia newyorkese partissero per gli States, dalle coste di Trapani. Tessitore di legami, tra famiglie, mandamenti e province, è lui il profeta della mafia del terzo millennio: valori arcaici dissimulati e affari spregiudicati fatti nel silenzio. E rapporti stretti con ’ndrangheta e camorra. Messina Denaro è il cardine di interessi criminali e politici, di trame inconfessabili. Il custode dei segreti di una terra che è culla di logge massoniche deviate e disegni eversivi. La terra in cui, secondo molti, Cosa nostra è nata. E dove, più che altrove, è diventata cultura: di un pezzo importante della borghesia e dei gruppi di potere.

“Matteo Messina Denaro, La mafia del Camaleonte”, il libro edito da Rubettino e firmato dal giornalista e inviato del Tg3 Fabrizio Feo, uno dei cronisti di razza cresciuto affianco al compianto Giò Marrazzo,  pone, tra l’altro, interrogativi inediti sull’attentato di via Fauro a Roma, messo a segno il 14 maggio 1993 con un’autobomba che doveva uccidere il giornalista Maurizio Costanzo , bersaglio mancato della campagna delle stragi mafiose. I retroscena dell’operazione dei Servizi Segreti  che doveva consentire l’individuazione del padrino di Castelvetrano.  L’archivio di Riina e i segreti della “trattativa” lasciati dai Graviano nelle mani di Matteo Messina Denaro.
I rapporti di  parenti e imprenditori legati a Messina Denaro con i vertici della politica siciliana e nazionale. I  legami dei suoi uomini con famiglie storiche della ndrangheta anche per il traffico internazionale degli stupefacenti. L’inesplorata rete dei rapporti tra Matteo Messina Denaro e la camorra. In particolare la potente famiglia dei Nuvoletta. Esponenti della cosca napoletana furono chiamati a Roma per collaborare all’attentato di via Fauro e al primo progetto di assassinio del giudice Giovanni Falcone, nella caccia al magistrato guidata dal padrino di Castelvetrano per le strade della Capitale . Il libro si sofferma  anche sui rapporti d’affari tra gli uomini di Matteo Messina Denaro , Gaetano Riina, la ndrangheta e il clan dei casalesi.
Feo racconta della provincia di Trapani una terra così malata di mafia che non se rende conto, così come nel tempo Trapani e la provincia non si sono resi conto delle bellezze dei luoghi, con il territorio che è diventato via via oggetti di sacchi edilizi, speculazioni, un territorio tenuto apposta povero, nonostante i grandi flussi finanziari che qui sono arrivati, perché bisognava mantenere una certa dipendenza sociale nei confronti del potere più o meno occulto, tanto poi da far dire che la mafia non esisteva o se c’era non era un male. “Qui la società civile, quando c’è, difficilmente la incontri per strada. La mafia ha molti volti, e te la ritrovi dappertutto. È la mafia che si sente istituzione e che sa di aver sempre regolato la vita di queste comunità, disponendo di un potere immenso”. Questa è la terra del “camaleonte” Matteo Messina Denaro, uno che puoi avere incontrato o incontrare per strada ma non lo riconosci, come non riconosci la mafia, dopo che per anni molti hanno fatto finta di non conoscerla. Oggi è sistema, l’illegalità spesso è la regola, chi cerca la legalità magari si sente dire da qualcuno che non è altro che un “professionista dell’antimafia” scomodando quel Leonardo Sciascia che di quella frase si pentì anni dopo, intervistato da Mauro Rostagno, uno che per essere fuori da quel sistema fu ammazzato. E forse in quel commando c’era proprio lui, Matteo Messina Denaro.


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