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martedì 22 marzo 2011

La riforma che servirebbe


di Giuseppe Lumia* - 22 marzo 2011La maggior parte delle vittime di reato in Italia lamenta la durata biblica dei processi, i costi esorbitanti da sostenere per le spese legali e, soprattutto, l’incertezza della pena.

Sia nell’ambito della giustizia civile che di quella penale chi ha subito un torto ha pochissime possibilità di ottenere giustizia, mentre chi è colpevole ha molte chance di farla franca. Dall’avvio di un processo alla sentenza definitiva possono passare anche 20-30 anni.

Il nostro Paese, quindi, avrebbe urgente bisogno di una riforma che semplifichi i procedimenti giudiziari. Sarebbe necessario pensare a una riduzione dei tre gradi di giudizio e a una riorganizzazione dei tribunali e delle procure. Inoltre, servono più risorse e strumenti: nella pianta organica mancano circa 1200 magistrati, nonché personale amministrativo. A tal proposito è utile ricordare che non si bandisce un concorso per i cancellieri dal lontano 1998. Molte procure antimafia, ad esempio, sono ridotte al lumicino.

A fronte di questo, cosa fa il governo? Nessun provvedimento in tale direzione, piuttosto si prodiga e affanna per una riforma costituzionale che modifica pericolosamente i rapporti tra un organo dello Stato a cui spetta il compito di far rispettare le leggi, la magistratura, e la politica che ha il compito di farle e applicarle.

La riforma viene fatta passare come epocale e indispensabile per risolvere le inefficienze della giustizia. Berlusconi e la sua maggioranza danno l’idea di volersi occuparsi di un grave problema del Paese, ma in realtà il testo predisposto dal ministro della Giustizia tende esclusivamente ad indebolire l’indipendenza e l’autonomia dei magistrati per assoggettarli alla politica. Come? Svuotando la Carta costituzionale delle prerogative che i nostri Padri costituenti affidarono alla magistratura, vedi l’esercizio obbligatorio dell’azione penale, e rimandandole alle leggi ordinarie. In altre parole questo vuol dire che sarà la maggioranza a decidere quali reati perseguire. Il magistrato, poi, potrà esercitare l’azione penale solo a partire dalle notizie di reato trasmesse dalla polizia giudiziaria. Un organo che dipende dall’esecutivo, ovvero dal ministero dell’Interno. Inoltre, è prevista la cosiddetta separazione delle carriere, attraverso lo sdoppiamento del Csm: uno per i giudici e l’altro per i pubblici ministeri. Per entrambi la bozza di riforma incrementa al 50% la quota di giudici non togati che ve ne fanno parte. La metà dei componenti degli organi di autogoverno dei magistrati e dei pubblici ministeri, quindi, sarà indicata dal Parlamento, ovvero dalla politica. I pm, inoltre, verrebbero equiparati alla difesa, perdendo così il titolo di magistrati e di conseguenza la funzione di terzietà che oggi sono tenuti a garantire durante tutto l’iter processuale, dalla raccolta delle prove alla sentenza definitiva. Nel nostro ordinamento, infatti, il compito della pubblica accusa non è quello di far condannare l’imputato, ma di concorrere all’accertamento della verità.

È evidente che tutto ciò non serve ai cittadini, ma solo ed esclusivamente a quella classe politica che vuole tenere al guinzaglio la giustizia per garantire a se stessa e alle cricche di cui si circonda immunità e privilegi. Il trionfo dei furbi e potenti sui più deboli e svantaggiati. I mascalzoni, quindi, continueranno ad eludere le leggi, mentre le persone oneste continueranno a sperare in una giustizia che non arriverà mai. La si smetta, pertanto, con simili forzature e ci si occupi veramente dei problemi reali della giustizia e dei cittadini.

* Parlamentare Pd

Tratto da:
Il Fatto Quotidiano


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