di AMDuemila - 9 marzo 2011
Roma. Allarme criminalità organizzata nelle regioni del Centro -  Nord per la presenza sempre più “pervasiva” di soggetti collegati alle  organizzazioni criminali, soprattutto ad esponenti della ‘Ndrangheta. A sottolinearlo è la relazione annuale della Dna che il Procuratore  Pietro Grasso ha presentato in Parlamento e dalla quale emerge come le  mafie risultino sempre più infiltrate nel nostro Paese. 
 Ndrangheta: la mafia più ricca 
Nelle oltre 1100  pagine del documento balzano subito agli occhi i dati e i numeri della ‘Ndrangheta che ha “colonizzato” la Lombardia  registrando “il maggior indice penetrazione nel sistema economico  legale” e divenendo col tempo un’associazione dotata di un certo grado  di indipendenza dalla “casa madre”, “con la quale però comunque continua a intrattenere rapporti molto stretti e dalla quale dipende per le più  rilevanti scelte strategiche".
E’presente in Piemonte, Liguria, Toscana, Lazio ed in particolare Roma e Abruzzo dove sono emersi inquietanti interessi negli appalti per la  ricostruzione dopo il sisma del 2009; in Umbria ed Emilia Romagna. Per  quanto attiene ai rapporti sul territorio, la 'Ndrangheta è oggi  “l'assoluta dominatrice della scena criminale, tanto da rendere  sostanzialmente irrilevante, e comunque, in posizione subordinata ogni  altra presenza mafiosa di origine straniera". La Ndrangheta è proiettata da tempo anche verso l’Europa, il Nord America, il Canada e  l’Australia.
Preoccupano le sue infiltrazioni nella pubblica amministrazione.
Infatti, spiega la Dna, “c'è il rischio che si crei una schiera di  "invisibili" che, germinata dalle cellule silenti delle mafie al  Centro-Nord, penetri in modo silente ma insidioso il tessuto politico,  istituzionale ed economico delle regioni oggetto dell'espansione  mafiosa”. E non si ritiene sia una caso se, come si ricorda, “l'Unione  Europea e la comunità internazionale convergono verso l'attribuzione di  un medesimo coefficiente d'allarme per i delitti di corruzione e quelli  di criminalità organizzata, a riprova di un coacervo illecito che  andrebbe congiuntamente esplorato, con i medesimi mezzi probatori e le  stesse tecniche investigative”, come “le intercettazioni telefoniche e  ambientali”.In particolare, spiega la relazione della Dna, ''la  ‘Ndrangheta ha caratteristiche di organizzazione mafiosa presente su  tutto il territorio nazionale, globalizzata ed estremamente potente sul  piano economico e militare tanto da potere essere definita presenza  istituzionale strutturale nella società calabrese, interlocutore  indefettibile di ogni potere politico ed amministrativo, partner  necessario di ogni impresa nazionale o multinazionale che abbia ottenuto l'aggiudicazione di lavori pubblici sul territorio regionale''.
Cosa Nostra sopravvive alla cattura dei capi
Nonostante i momenti di crisi, spiega la Dna, '”Cosa nostra non rinuncia alla elaborazione di modelli organizzativi unitari ed a progetti volti  ad assicurarne la sopravvivenza nelle condizioni di maggiore efficienza  possibile”.
Di conseguenza, evidenzia la relazione, “gli indiscutibili successi che  anche nell'anno in esame si sono conseguiti nei confronti  dell'organizzazione Cosa nostra non devono indurre in errore facendo  ritenere che la cattura di esponenti mafiosi di spicco e di numerosi  altri associati possa da sola disarticolare in maniera definitiva  l'organizzazione. La forza di Cosa nostra sta indubbiamente nei suoi  capi, la cui cattura le causa un danno rilevantissimo, ma la mafia è  comunque in grado di sopravvivere proprio a causa della sua struttura'”. Infatti, ''Cosa Nostra è dotata di una sorta di costituzione formale e  di una costituzione materiale, al pari dello Stato, come lo Stato. In  alcuni momenti storici ha contato di più la sua costituzione materiale,  nel senso che il governo dell'organizzazione è stato retto secondo le  scelte dei capi ed a prescindere dal rispetto delle regole.
Nel momento in cui l'azione investigativa dello Stato ha portato alla  cattura di tali capi (quando la cosiddetta costituzione materiale  dell'organizzazione è andata in crisi) la costituzione formale di Cosa  Nostra ha ripreso importanza e tutt’ora consente alla struttura di  sopravvivere anche in assenza di importanti capi riconosciuti in stato  di libertà”.
La Dna evidenzia che '”dalla cattura di Provenzano in poi permane  nell'organizzazione una situazione di forte fibrillazione, che riguarda  sia l'individuazione di una nuova leadership, sia la ricerca di nuovi  schemi organizzativi e di nuove strategie operative”, ma che anche  attraverso i latitanti Cosa nostra “continua ad imporre le strategie  generali, anche se l'esito positivo dell'attività repressiva le ha  creato una situazione di grave difficoltà. Ciò non significa però che  non riesca a mantenere il controllo sulle attività economiche, sociali e politiche nel territorio, continuando a utilizzare le vaste reti di  fiancheggiatori, il sistema dell'estorsione, l'inserimento nel settore  dei pubblici appalti, e più recentemente nei settori della grande  distribuzione alimentare, dei mercati ortofrutticoli e in quello delle  sale da gioco lecito”.
Camorra: clan sempre più frammentati 
La Dna nella relazione ricorda come sia “noto che il fenomeno criminale  tradizionalmente riconducibile alla Camorra si caratterizza per una  peculiare frammentazione delle sue variegate aggregazioni  delinquenziali. Senza la pretesa di voler analizzare aspetti che una  consolidata osservazione di tipo criminologico ha avuto il merito di  approfondire, può dirsi che il modello organizzativo prescelto dai vari  gruppi camorristici che hanno radicamento nei territori in questione è  di tipo orizzontale, individuandosi una miriade di centri decisionali in grado di dare forma a strategie criminali più o meno complesse,  talvolta proiettate in periodi medio-lunghi, più spesso ancorate al  conseguimento di obiettivi immediati”.
La frammentazione dei clan, evidenzia la relazione, “è senz’altro più  evidente nell'ambito del territorio metropolitano (che non ricomprende  solo il territorio della città di Napoli, ma che si estende ai popolosi  comuni che la circondano, costituendone una sostanziale continuazione)  ove il contesto sociale -caratterizzato, tra l'altro, da una densità  demografica tra le più alte nel mondo- ed il tessuto  economico-produttivo (in larga misura polverizzato in una miriade di  attività commerciali) favoriscono forme di aggregazione criminale di  particolare fluidità, in grado di controllare capillarmente ambiti  territoriali, i quali, pur essendo poco estesi, si caratterizzano per un elevato numero di micro-insediamenti produttivi e di micro-attività  economiche: è allora evidente che i mercati legali vengono  inevitabilmente e progressivamente ad essere condizionati dai metodi di  tipo mafioso propri di tali sodalizi criminali”.
Ma le più recenti investigazioni dimostrano che anche “la tradizionale  solidità delle organizzazioni camorristiche nate lontano dall'area  metropolitana (ove è più decisamente sviluppata la grande distribuzione  di prodotti agricoli ed industriali o dove sono più frequenti gli  interventi di speculazione edilizia e comunque in territori nei quali è  più intenso il condizionamento degli apparati politico-amministrativi)  è  destinata a confondersi in un continuo fenomeno di scissione interno  ad esse, alimentato dall'indebolimento delle tradizionali leadership,  oggi forse meno in grado di svolgere una funzione aggregante in seno a  tali organismi criminali”.
  
Puglia la  “quarta mafia” punta all’economia legale 
 Crescono le organizzazioni di stampo mafioso pugliesi che  '”rappresentano una mafia moderna ed evoluta, si potrebbe dire - oggi -  una mafia compiuta” e vantano '”interessi sempre più spiccati verso  nuovi mercati: si fanno concreti i coinvolgimenti di ceti professionali  nell'azione criminale; il reinvestimento e il riciclaggio dei proventi  illeciti e l'acquisizione di spazi sempre più ampi nell'economia  legale”. Questa la fotografia scattata della realtà pugliese, formata  dalla Sacra Corona Unita e altre organizzazioni mafiose, dalla relazione annuale della Dna.
In particolare, nella relazione si legge che '”le elaborazioni  concettuali svolte in ordine alla criminalità organizzata pugliese,  hanno prevalentemente avuto come obiettivo quello di dimostrare  l'esistenza, in Puglia, di una “quarta mafia”, caratterizzata da aspetti tipologici e pericolosità sociale non dissimili da quelli comunemente  riconosciuti a Cosa nostra siciliana, alla ‘Ndrangheta calabrese e alla  Camorra napoletana. Siffatto risultato può considerarsi ampiamente  conseguito, essendosi individuato il primo “germe” della mafia pugliese  nella propaggine camorristica in terra di Puglia denominata ‘nuova  camorra pugliese’”.
La Dna parla di una '”mafia compiuta”che '”ha dismesso il ruolo di  soggetto del ‘terziario mafioso’ (come efficacemente descritto dagli  studiosi negli anni scorsi) incaricato di fornire consulenza su come  introdurre sul territorio pugliese prodotti illeciti - dal tabacco alla  droga, dalle armi ai clandestini - su come e dove nasconderli, su come  trasportarli verso i mercati di destinazione; un ‘terziario’ della  malavita che, in cambio di alloggi, coperture, manodopera, basisti,  autisti, si accontenta di una partecipazione agli utili o di una  percentuale sui proventi illeciti'”.
Invece, ad oggi, '”ha acquisito consapevolezza dei propri mezzi, delle  capacità operative e strategiche conseguite, del vantaggio competitivo  di cui dispone rispetto ad altre organizzazioni mafiose in relazione ai  contatti con i gruppi criminali balcanici. Agisce, perciò, in prima  persona e non più in conto terzi; pretende il governo degli affari  illeciti e non è più disposta ad accettare ruoli ausiliari e serventi”.
In questo senso '”la più vistosa linea di tendenza che si registra in  quest’ultimo anno è quella di una progressiva espansione -da parte dei  più forti clan dei capoluoghi verso i rispettivi hinterland. Essa segna  le nuove caratteristiche della mafia pugliese, sempre più simile alle  tre mafie tradizionali: l'attenzione crescente che i clan dedicano alle  aree limitrofe ai grandi centri abitati risponde ad una logica  economico/criminale. Realizza, infatti, l'esigenza di 'seguire' i flussi di produzione della ricchezza, muovendosi parassitariamente al seguito  delle migrazioni centripete operate oggi dalle imprese”
Oltre ai settori presi di mira dagli appetiti delle organizzazioni  mafiose, accanto ai tradizionali business illeciti (droga, estorsioni e  usura, migranti, prostituzione, contrabbando, rapine) emergono  ''interessi sempre più spiccati verso nuovi mercati: si fanno concreti i coinvolgimenti di ceti professionali nell'azione criminale (i  cosiddetti ‘colletti bianchi’, in grado di offrire ai clan servizi  raffinati ed entrature negli ambienti politici e amministrativi); il  reinvestimento e il riciclaggio dei proventi illeciti.
 
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