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venerdì 11 marzo 2011

Una riforma al giorno toglie il giudice di torno



di Gian Carlo Caselli - 11 marzo 2011Le leggi “ad personam” hanno imbarbarito il sistema violando i principi fondamentali dell'ordinamento ma non sono servite a granché.
    
L’ossessione del premier per i suoi processi non si è calmata, e poco sollievo gli è venuto dall’incessante azione di illustri avvocati che intrecciano la difesa privata con responsabilità istituzionali.

Meglio lasciare da parte l’accetta che trancia di netto i delitti più “rischiosi”. Persino un’opinione pubblica assuefatta e ipnotizzata potrebbe a un certo punto svegliarsi. Invece delle brutali leggi “ad personam” si possono imboccare strade più elusive ma non meno efficaci.

Per esempio qualche modifica della Costituzione che consenta al governo di condizionare la magistratura o addirittura di impartirle direttive.

Esattamente questa è la situazione che si avrà con la sedicente riforma della Giustizia (sobriamente denominata epocale...) che il Consiglio dei ministri ha messo in cantiere.

Direttore dei lavori è un cavaliere/presidente che nello stesso tempo è imputato in vari processi. Un ossimoro? Forse, ma soprattutto un modo per regolare i conti con questa magistratura golpista ed eversiva che continua a coltivare un’assurda pretesa: chiedere conto anche al premier di azioni od omissioni che si presentino in contrasto con la legge penale.

Ma anche a prescindere (e non si può) dalle vicende giudiziarie del premier e dalle sue ansie, è evidente innanzitutto che non si tratta di una riforma della Giustizia (l’inefficienza del sistema resterà tal quale), ma del tentativo di liberare il potere politico dal fastidio di aver a che fare con magistrati indipendenti. È poi impossibile ignorare un dato di fatto: il nostro – purtroppo – è tuttora un paese caratterizzato da un fortissimo tasso di illegalità che comprende una spaventosa corruzione, collusioni e complicità con la mafia assai diffuse, gravi fatti di mala amministrazione e fenomeni assortiti di malaffare. Quasi sempre ci sono pezzi consistenti di politica coinvolti in tali vicende, per cui consentire loro (come avverrà con la pseudo-riforma della Giustizia) di pilotare la magistratura nel modo che ad essi più conviene sarebbe micidiale: per l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e per la stessa credibilità della nostra democrazia.

In altre parole, grazie alla pseudo-riforma potrà dare ordini alla magistratura, stabilendo come e chi indagare, proprio quel potere politico che di solito – è storia – respinge i controlli di legalità relativi ai suoi esponenti, preferendo autoassoluzioni perpetue. Ad esempio minimizzando il gravissimo cancro della corruzione sistemica riducendolo (la tradizione al riguardo si è consolidata negli anni) ad isolate performance di “mariuoli” o “sfigati” di poco conto. E non è un caso che il presidente del Consiglio, presentando baldanzosamente la “sua” riforma, abbia dichiarato con candore che così Mani Pulite non ci sarebbe stata. Che se invece avessimo a che fare anche noi con politici capaci di dimettersi sol perché scoperti a copiare una tesi di laurea, allora potremmo pure discutere sull’opportunità o meno dell’opzione legata alla separazione delle carriere. Per contro, la concreta realtà del nostro paese (ancora fuori degli standard delle democrazie occidentali per ciò che qui interessa) non ci consente assolutamente un simile lusso. Posto infatti che sempre – ovunque vi siano forme di separazione – il governo in un modo o nell’altro ha poteri direttivi sui pm, in Italia (nella situazione ancora attualmente data) il sistema sarebbe suicida, perlomeno finché certe decisive componenti della classe politica resteranno esclusivamente preoccupate della propria impunità. Sarebbe come affidare alle volpi la custodia del pollaio! Se poi la separazione delle carriere si combina (come previsto nella pseudo-riforma del governo) con altre misure mirate all’impunità dei potenti, ecco che il cerchio si chiude ed i giochi sono fatti. Così, l’indebolimento dell’obbligatorietà dell’azione penale mediante liste, stabilite dalla politica, che distinguono quali reati perseguire e quali no; - il controllo delle attività investigative della polizia giudiziaria esercitato dal governo e non più dal pm; - la mortificazione del Csm a ruoli meramente burocratici; - la previsione di un Csm separato per i pm, così sottratti all’utile “koinè” con la magistratura giudicante; - il conferimento al Guardasigilli di un potere di ispezione e relazione sulle indagini destinato a funzionare come ponte verso la costruzione di un rapporto gerarchico con l’ufficio del pm; - una nuova disciplina della responsabilità dei magistrati che rischi di esporli a bufere scatenate strumentalmente, incompatibili con la serenità e l’autonomia della giurisdizione.

Son tutti interventi che univocamente convergono verso l’obiettivo di riservare al potere politico l’apertura o chiusura del “rubinetto” delle indagini, prevedendo per giunta forme indirette ma efficaci di dissuasione verso i pm che tardino a capire che conviene “baciare le mani” a chi può e conta, piuttosto che servire gli interessi generali. La posta in gioco è la qualità della democrazia. E forse è bene cominciare a rileggere quel passo di Calamadrei in cui sta scritto che “la libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni e che io auguro a voi di non sentire mai”.

Tratto da:
Il Fatto Quotidiano

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