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lunedì 22 novembre 2010

Riina dovrà risarcire i familiari di Falcone "Ma la delegittimazione arrivò dallo Stato"


Il tribunale civile di Palermo condanna solo a metà il capo di Cosa nostra per il fallito attentato del 1989. Per il tritolo nella borsa lasciata sulla scogliera, non per le "umiliazioni" e le "calunnie". Per la sentenza, le delegittimazioni furono architettate da "ambienti delle istituzioni", non dalla mafia. E il "corvo" era "uomo delle istituzioni, non di Cosa nostra"

di SALVO PALAZZOLO

Totò Riina dovrà risarcire le sorelle di Giovanni Falcone, Anna e Maria, per il fallito attentato all’Addaura, del 21 giugno 1989. Il tribunale civile di Palermo ha condannato il capo di Cosa nostra a pagare 144.048,47 euro. Ma è un risarcimento solo per la borsa di tritolo lasciata sulla scogliera, non per l’opera di delegittimazione che colpì il giudice prima e dopo il fallito attentato davanti alla sua villa. 

Le sorelle di Falcone chiedevano un risarcimento anche per questo: per le “umiliazioni”, le “calunnie”, gli “sleali attacchi e i torbidi giochi di potere”. Un risarcimento per la “macchina del fango”, come l’ha chiamata qualche giorno fa lo scrittore Roberto Saviano durante il programma “Vieni via con me”: prima, le lettere del Corvo, poi un tam tam di false notizie che sembrava inarrestabile. Un “infame linciaggio” lo definisce nella sentenza il giudice Paola Proto Pisani, della terza sezione civile del tribunale di Palermo. Ma non fu Cosa nostra a mettere in atto l’infame linciaggio. Piuttosto, “ambienti delle istituzioni”, scrive il giudice. 

È una sentenza destinata a riaprire le polemiche attorno alla vita e alla morte di Giovanni Falcone. Paola Proto Pisani spiega nelle motivazioni della sentenza: “Brusca ha riferito espressamente che a fronte delle svariate notizie e voci che nell’immediatezza correvano sulla matrice dell’attentato dell’Addaura, Riina suggerì di “cavalcare” tale confusione, mantenendo il più stretto riserbo sulla matrice mafiosa dell’attentato, anche e proprio all’interno dell’ambiente degli uomini d’onore e di alimentare all’interno della stessa organizzazione le voci false che già correvano all’esterno sul tale fatto". In quei giorni, il venticello della calunnia disse pure che Falcone si era organizzato da solo il fallito attentato sugli scogli.
 
Non hanno ancora un nome ben definito gli uomini delle istituzioni che delegittimarono Falcone. Il mistero più grande resta quello del Corvo, l’autore delle lettere anonime che all’inizio di giugno dicevano di un progetto ordito da Falcone e dal superpoliziotto Gianni De Gennaro per far ritornare in Sicilia il pentito Salvatore Contorno con una missione di Stato: stanare i grandi latitanti di mafia. Per quelle lettere era finito sotto accusa l’allora sostituto procuratore Alberto Di Pisa, oggi procuratore a Marsala, ma è stato assolto definitivamente. Nella sentenza del processo Di Pisa si parla di un altro complotto, ordito negli ambienti dell’Alto commissariato per la lotta alla mafia, finalizzato a incastrare il magistrato, attraverso la fotografia di una sua impronta. Misteri su misteri.

Il giudice Proto Pisani ricorda ancora le parole di Brusca: "Speriamo che il dottor Di Pisa si penta. Questo diceva Riina quando sentiva le notizie sulla sua incriminazione. Ma non perché poteva favorire Cosa nostra, perché il dottor Di Pisa era uno di quelli pure duri contro Cosa nostra. Ma credo che lui sapeva che all’interno della Procura c’era qualche spaccatura. "Speriamo che si pente" nel senso "speriamo che sapremo qualcosa di più". Gli faceva piacere che venivano fuori queste cose". 

Sono parole che fanno dire al giudice Proto Pisani: il corvo non era un "uomo della mafia sapientemente infiltrato nelle istituzioni", piuttosto un "uomo delle istituzioni, non collega a Cosa nostra, in contrasto con Falcone per questioni attinenti alla modalità di gestione dei collaboratori o più in generale per le tecniche di investigazione relative alla criminalità organizzata, o anche per motivi di invidia o contrapposizione personale, che poi nei fatti ha concorso a realizzare l’interesse comune a Cosa nostra di delegittimare Falcone". 

Dice l'avvocato Francesco Crescimanno, che ha assistito le sorelle Falcone assieme al collega Antonio Coppola: "Bisogna ancora fare luce sull'isolamento attorno a Giovanni Falcone. In molti dovrebbero fare autocritica".

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