Contattaci

Se desideri partecipare alla realizzazione del blog mandaci il tuo articolo al nostro indirizzo mail: blogghiamolamafia@live.it .

mercoledì 12 gennaio 2011

Sentenza Face Off: ora pensiamo a Cutro'

di Sonia Alfano - 12 gennaio 2011
Ieri Ignazio Cutrò ha vinto.
Certo, direte voi, ha vinto anche lo Stato, la Giustizia e noi tutti, è vero. Una vittoria però è tale quando il “concorrente” ha messo in gioco tutto ciò che aveva. Quando ha rischiato senza pensare alle conseguenze.

Quando ha fatto tutto ciò che era nelle proprie possibilità. E quello che più di tutti ha rischiato, in questa battaglia, è stato lui, quell’imprenditore grande e grosso dal cuore altrettanto grande, capace di emozionare una platea di 400 persone incitandole a non abbassare la testa di fronte a cosa nostra. Grazie alle sue denunce e alla sua testimonianza nel processo “Face Off”, i suoi aguzzini ieri sono stati condannati ad oltre 50 anni di carcere. Per l’esattezza, 13 anni di reclusione per Luigi Panepinto, 14 anni e 6 mesi per Maurizio Panepinto, 10 anni per Marcello Panepinto, 13 anni e 3 mesi per Giovanni Favata, 15 anni e 9 mesi per Domenico Parisi. L’unico assolto è stato Vincenzo Ferranti. La conferma che la cosca mafiosa della Bassa Quisquina era gestita dalla famiglia Panepinto, che da vittime di mafia si erano trasformati in mafiosi.
E’ stata la vittoria della pubblica accusa, portata avanti con coraggio da Giuseppe Fici e Salvatore Vella. E’ stata la vittoria di tutte quelle persone che in questi anni sono state accanto ad Ignazio e alla sua famiglia, a sua moglie Giusy, a sua figlia Veronica e a suo figlio Giuseppe, che mai come ora hanno bisogno del nostro affetto.
Dovrei sentirmi anch’io vincitrice, ma non ci riesco. Perchè se guardo indietro, a quando ho incontrato un Ignazio disperato e demotivato, e solo molto lentamente siamo riusciti insieme a risalire e ad attirare l’attenzione dell’Italia, se volto la testa a quei giorni vedo troppo dolore e troppa vergogna: non è normale che un uomo giusto come Cutrò debba fare tutto ciò solo per avere giustizia.
Quel giorno che Ignazio venne nel mio ufficio per la prima volta non posso dimenticarlo. Aveva le banche alle calcagna che minacciavano di prendersi anche la sua abitazione, gli enti riscossori che pretendevano decine di migliaia di euro da un’impresa vessata dalla mafia ignorando pure la sospensione prefettizia. Era davvero l’ombra del Cutrò che oggi conosciamo. Non avevo la bacchetta magica e ho fatto quello che potevo, sollecitando giorno dopo giorno ogni organo istituzionale affinchè affrontassero tutti il caso Cutrò, l’imprenditore antiracket che lo Stato non vuole con sè. Un’intera segreteria politica ha lavorato per mesi affinchè il “caso” Cutrò diventasse il caso di tutti gli italiani onesti.
Poi c’è stato il gesto estremo di Roma, quando lui e Valeria Grasso, altra imprenditrice coraggio che ha spinto in carcere parte del clan Madonia, si sono incatenati ai cancelli del Viminale per protestare contro una situazione umiliante, sotto il profilo economico e della sicurezza personale: erano soli contro la mafia e nessuno voleva aiutarli. Quel giorno ero a Roma per altri impegni che ho subito abbandonato per raggiungere quelle due persone per bene costrette a legarsi come animali per attirare l’attenzione di un Ministero sonnecchiante. Siamo stati un’intera giornata sotto la pioggia cercando di convincere i poliziotti che volevano tagliare le catene con le cesoie che quelli “sbagliati” non erano loro, che non potevano eseguire ordini ciecamente senza sapere che quelli che stavano “sgombrando” erano due testimoni di giustizia, non due pentiti di mafia.
E poi gli infiniti incontri, i molteplici faccia a faccia e le interminabili telefonate per aggiustare una storia storta, figlia di un’Italia imbarazzante che come al solito abbandona il meglio per difendere l’”estremamente peggio”.
Ora questa sentenza può rappresentare un punto importante. Può dimostrare che senza Cutrò quel territorio sarebbe ancora in mano alla famiglia mafiosa dei Panepinto. Che senza Cutrò gli appalti pubblici avrebbero continuato ad essere pilotati. Che senza Cutrò oggi Bivona non avrebbe un’anima.
Sabato scorso ho voluto che Ignazio fosse presente alla commemorazione di mio padre, il momento più importante per me da 18 anni a questa parte. Ho voluto che partecipasse assieme agli altri relatori. E il boato che ha accolto le sue parole, quella sala stracolma che lo ha invocato, è stato uno dei momenti più toccanti di tutta la giornata. Voleva dire che avevamo vinto davvero, che Ignazio era arrivato ai cuori di tutti.
E ora? Ora bisogna smetterla di festeggiare. Bisogna ancora una volta spronare lo Stato italiano affinchè rilanci l’attività imprenditoriale di Ignazio. Affinchè torni ad aggiudicarsi appalti pubblici. Affinchè torni la normalità. Cutrò non vuole vivere da eroe, ma da cittadino comune che sostiene la sua famiglia. Non ha mai voluto soldi, nè facilitazioni, ma solo che gli fosse riconosciuta la sua dignità e la bontà delle sue dichiarazioni. Una sentenza ora lo ha fatto, ma ad aspettarlo però non ci sono certo solo uomini e donne che lo ammirano, ma anche persone che lo odiano. E la sua sicurezza oggi è la nostra priorità.
Fino a quando Ignazio non tornerà a lavorare e a vivere sereno e protetto io non avrò vinto.

Tratto da:
soniaalfano.it


Nessun commento:

Posta un commento