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martedì 22 marzo 2011

Mafie, zone grigie e corruzione


L'analisi e la denuncia di Giancarlo Caselli e Antonio Ingroia
di Lorenzo Baldo - 22 marzo 2011
Uno dei seminari organizzati da Libera nell'ambito della Giornata della memoria e dell'impegno che si è svolta a Potenza lo scorso 19 marzo ha visto la partecipazione dei giudici Giancarlo Caselli e Antonio Ingroia. “Mafie, zone grigie e corruzione” è stato il tema trattato.

L'Auditorium Santa Cecilia si è riempito all'inverosimile, soprattutto giovani, seduti per terra, in piedi, sulle scale, quasi fin sotto il tavolo dei relatori. Il coordinatore di Liberainformazione, Lorenzo Frigerio, ha introdotto l'incontro leggendo la lettera scritta alla moglie dal liquidatore della Banca Privata Italiana, Giorgio Ambrosoli, ucciso dalla mafia su direttiva del banchiere Michele Sindona nel 1979. “E’ indubbio – scriveva Ambrosoli – che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata una occasione unica di fare qualcosa per il Paese. […] Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto”. Molti di questi ragazzi non hanno conosciuto la storia dell'avv. Ambrosoli, ma erano lì per saperne di più su mafia e corruzione. Antonio Ingroia ha esordito spiegando come questi due fenomeni siano “due facce della stessa medaglia”. L'analisi del procuratore aggiunto di Palermo è partita dalla “schizofrenia” dell'attuale definizione sullo stato della lotta alla mafia, tracciando un ipotetico filo conduttore tra passato e presente. Una “schizofrenia” che trova da una parte alcuni uomini delle istituzioni che dichiarano come l'organizzazione mafiosa sia “alle corde” attribuendo il risultato all'attuale governo e dall'altra il parere opposto dei magistrati antimafia che, pur riconoscendo i risultati ottenuti, non ritengono reale una immediata sconfitta della mafia. “In Italia – ha spiegato Ingroia – non ci intendiamo su cosa sia la mafia”, al di là della mafia militare, è stata quindi focalizzata “la mafia dei colletti bianchi”, quella del riciclaggio, quella che, come diceva Falcone, era “entrata in Borsa”. “E dalla Borsa – ha sottolineato ai ragazzi il pm palermitano – non è più uscita!”. “Questo tipo di mafia ha goduto di impunità – ha evidenziato con forza –. Si è intaccata l'impunità della mafia militare, ma i rapporti mafia-politica hanno mantenuto alti livelli di impunità!”. Per approfondire il tema in questione Ingroia ha affrontato l'evoluzione di una Cosa Nostra capace di far dirigere i propri mandamenti mafiosi a medici e architetti, uomini d'onore a tutti gli effetti. “La corruzione oggi è 'sistema' – ha ribadito l'ex pm al processo contro Marcello dell'Utri – che favorisce le relazioni tra 'poteri mafiosi' e 'deviazioni' di poteri legali”. Ingroia ha parlato di una “debolezza del potere legislativo” che equivale ad una “debolezza sul fronte antimafia”. Il magistrato ha affrontato di seguito il tema caldo delle intercettazioni, con dati alla mano ha dimostrato come quasi sempre le indagini antimafia nascono come indagini ordinarie (che con la nuova riforma vedrebbero quasi azzerate le relative intercettazioni) e che solo successivamente sfociano in indagini per reati mafiosi che diventano veri e propri processi di mafia. Per Ingroia una volta che verranno eliminate di fatto le intercettazioni si verificherà “il definitivo azzeramento degli strumenti per aggredire quel punto di saldatura tra poteri legali e criminali”, con la complicità di una informazione “che mistifica” e che “disorienta” i cittadini. Dal canto suo Giancarlo Caselli è intervenuto ricordando le gravi dichiarazioni del premier che, difendendo la sua riforma della giustizia, ha affermato impunemente che se fosse stata varata prima non ci sarebbe stata tangentopoli. Dopo essersi soffermato sulla mancata ratifica da parte dell'Italia della Convenzione europea contro la corruzione, Caselli ha focalizzato l'attenzione sull'impatto della corruzione nell'immagine del nostro Paese e della nostra economia. Il procuratore di Torino ha illustrato come con le grandi opere “vissute come emergenze da affrontare” si siano dilatati gli spazi “all'interno dei quali forme di corruzione si sono infilate”. “La mafia è una metastasi del sistema – ha ribadito Caselli – ed è strutturale al sistema” per poi specificare che, così come per la corruzione, vi sia una gravissima forma di “riduzionismo” o addirittura di “negazionismo”. Citando il brano scritto dal professor Michele Ainis 'La Repubblica dei corrotti', Giancarlo Caselli ha evidenziato come secondo “Transparency International” nelle classifiche della legalità l'Italia occupi il 63° posto, peggio di Malaysia e Namibia. Addirittura il “Global Competitiveness Index” colloca il nostro Paese in terzultima posizione (su 117 paesi) per quanto riguarda la remissività del nostro sistema fiscale verso il privilegio, nonché al 91° posto (su 134 paesi) per l’inclinazione al favoritismo nelle decisioni di governo. “L'economia illegale – ha sottolineato Caselli – molte volte appare vincente a fronte di uno Stato che appare debole”. I ragazzi presenti hanno applaudito convintamente mentre il procuratore di Torino ha spiegato loro come, partendo dal concetto generale di società, fino alla questione delle infrastrutture, potremmo vivere meglio se non ci fosse la corruzione. “L'impoverimento della nostra società – ha rimarcato il procuratore di Torino – si basa propriamente sul dilagare della corruzione”. Caselli ha quindi affrontato il tema di quella che ha definito “una riforma della magistratura” che porterà ad un vero e proprio vuotamento del sistema giustizia. “Se noi prendiamo la Costituzione – ha concluso il magistrato torinese – leggeremo le firme di De Nicola, De Gasperi e Terracini, un liberale, un democristiano e un comunista. Tre uomini con idee diverse, che si sono trovati d'accordo su una Carta che appartiene a tutto il popolo italiano!”. Applausi scroscianti in sala. Ma anche echi lontanissimi di una politica al servizio del cittadino il cui ricordo sembra appartenere ad un'altra società.


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