Ciao Paolo, ciao Giovanni,
sono passati vent’anni. Mi sembra giusto, doveroso scrivervi
questa lettera. Vent’anni fa avevo dieci anni, i miei ricordi sono offuscati.
Un po’ più nitidi quelli della strage di Capaci, un po’ meno quelli di Piazza
D’Amelio. Ero piccola, la parola mafia era per me sconosciuta. Entrò in quei
giorni nel mio vocabolario, con forza, con prepotenza; tanto che il vocabolario
fu un supporto quasi inutile per capirne il significato. Dentro di me risuonano
le parole di mio cugino dodicenne, che mi disse “Non occuparti mai di queste
cose, perché vedi poi come finisce”. Disse queste parole, o qualcosa di simile.
Ma il senso era quello. Per me era tutto strano, effettivamente non capivo
perché due persone avessero lottato così tanto, quasi a cercarne la morte.
Pensavo che, in fondo, se avessero pensato “ai fatti loro”, ora sarebbero vivi,
felici e con le persone a cui volevano bene. Sapevo che c’erano già troppe
insidie, come le malattie, che qualche anno prima mi avevano portato via un nonno
e uno zio. Per cui se già la morte ti viene a cercare, perché andargli
incontro? Davvero continuavo a non capire le vostre scelte.
Poi sono cresciuta, ho iniziato a conoscere e a lettere.
Sono diventata uno spirito critico, ho attraversato la vita di diverse figure,
che hanno accompagnato il mio “essere”. Da Che Guevara (quale adolescente non
se ne innamora?), a Martin Luther King, passando per Gandhi e perché non San
Francesco D’Assisi. Tutte persone che hanno fatto della loro vita uno strumento
a servizio degli altri. Anche per me, in fondo, era diventato così. Dopo due
viaggi in Africa, avevo capito che ognuno di noi è strettamente collegato agli
altri. Che non puoi tirarti indietro, soprattutto quando capisci che ci sono
tante cose che non puoi capire, che non ti vengono raccontate o che sono
distorte. Quando capisci che, ci sono poteri forti, molto forti; che stritolano
i più deboli, che li riducono a masse non pensanti. Allora ho capito cosa qual
è stato il fuoco, che ha spinto la vostra impresa. Lo hai detto tu, Paolo. È
stato soprattutto un atto d’amore verso una città. L’amore che vuole il
cambiamento, che non si accontenta di soluzioni preconfezionate, che non si
adagia al semplice dire “Si, è così. Va bene”. E’ l’amore che ti spinge a
capire, ciò che viene nascosto, le dinamiche del Potere, quello con la P
maiuscola. Quello che c’è, lo senti, ma non lo vedi. Era la mafia, ma non solo.
Era qualcosa che andava al di là; verità che avrebbero potuto scalfire la
richiesta di “sicurezza” di tutti. Dopo vent’anni non sappiamo ancora chi fosse
il volto della o delle persone che hanno soffocato la vostra (e la nostra)
battaglia per la Giustizia. Sappiamo chi ha schiacciato quei pulsanti, ma non
chi ha voluto che qualcuno lo premesse. È come se ci fosse una linea di non
ritorno, oltre la quale non si può sapere. Una per tutte, dove è finita la tua
agenda rossa, Paolo? Chi l’ha presa? Cosa c’era scritto? È una sola domanda, ma
ne sorgono altre mille, che portano a tanti perché a cui ancora non abbiamo
risposta. State certi di una cosa, forse la Verità non la sapremo, ma il vostro
esempio è stato fecondo. In tutti questi anni sono nati movimenti spontanei,
non “politicamente” – o meglio “partiticamente” identificati -, che hanno
urlato con forza crescente la voglia di Giustizia e di Verità. Persone comuni,
vite normali, che si indignano, che si guardano attorno e che esigono risposte.
Non poteva nascere niente di più bello, e di questo non posso fare altro che
ringraziarvi. Ovunque voi siate, guardateci. Proteggete il nostro spirito e
tenetelo lontano dall’ipocrisia e dalle risposte facili. Solo così, “le vostre
idee continueranno a camminare sulle nostre gambe”.
Un grazie senza fine.
Raffaella