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giovedì 16 dicembre 2010

Trattativa: si compongono nuovi pezzi del ''puzzle''

Caltanissetta interroga De Gennaro mentre i pm di Palermo ascoltano gli ex presidenti della Repubblica, Scalfaro e Ciampidi Aaron Pettinari - 16 dicembre 2010
“L'inchiesta sulla trattativa? Un puzzle che stiamo componendo”. Sono queste le parole pronunciate oggi in un'intervista al Giornale Radio Rai dal procuratore di Palermo, Francesco Messineo.


E di nuovi tasselli tra le due procure siciliane, quella di Palermo e quella di Caltanissetta, se ne stanno aggiungendo parecchi.
Mentre i primi erano impegnati nell'interrogare i due “presidenti emeriti” della Repubblica, Scalfaro e Ciampi, sempre a Roma i giudici nisseni hanno sentito per oltre 5 ore Gianni De Gennaro, capo del servizio segreto (Dis). Riguardo ai contenuti di entrambi gli incontri è trapelato poco o nulla.
Dalle indiscrezioni uscite oggi De Gennaro sarebbe stato ascoltato dal procuratore di Caltanissetta Sergio Lari e dai suoi sostituti, nella doppia veste di persona informata sui fatti ed anche come parte lesa dopo essere stato chiamato in causa dal figlio dell´ex sindaco di Palermo, Massimo Ciancimino. Questi aveva parlato di lui come "persona vicina agli ambienti che facevano capo al signor Franco", l'enigmatico agente segreto presunto anello di collegamento tra la mafia e lo Stato.
Una tesi che De Gennaro ha allontanato denunciando a sua volta Ciancimino per calunnia.
Ma le domande degli inquirenti non si sono esaurite a questo argomento, tanto che il direttore del Dis avrebbe relazionato in merito alla vasta attività investigativa contro la mafia in Sicilia a partire dagli anni '80 fino a quelli successivi la morte di Falcone e Borsellino.
De Gennaro ha anche risposto ai pm riguardo alla rivelazione di Ciancimino Jr sui rapporti, che ci sarebbero stati negli anni Ottanta, tra l’allora investigatore della Criminalpol, il padre e l’imprenditore romano Romolo Vaselli.
Su quest'ultimo il teste avrebbe dichiarato possibile qualche contatto per esigenze investigative su precisa indicazione del giudice Falcone, mentre in merito alla conoscenza con la famiglia di Don Vito ha negato ogni tipo di rapporto.

“Dissociazione mafiosa”
Un altro tema delicato, inerente alla trattativa, affrontato dai pm con De Gennaro sarebbe stato quello della “dissociazione mafiosa”.
Tempo fa il collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo, in un interrogatorio, ha riferito di aver sentito nel luglio 1992, tra le stragi di Capaci e di via D’Amelio, Paolo Borsellino dialogare con alcuni investigatori ed alterarsi all’ipotesi che si potesse concedere alla mafia la possibilità di dissociarsi.
Su questo tema erano stati sentiti anche Francesco Gratteri, oggi alla direzione anticrimine, e l’ex colonnello dei carabinieri, Domenico Di Petrillo, passato ai servizi di sicurezza dell’Eni, che avrebbe confermato l’esistenza di un' "ipotesi di dissociazione".
Il prefetto avrebbe detto di aver affrontato l'argomento (dichiarandosi peraltro contrario) solo due anni dopo quando fu posto dal vescovo di Acerra, monsignor Riboldi. Nell’indagine sulla trattativa fra Stato e mafia il tema “dissociazione” è sicuramente un tassello cruciale perché è uno dei punti inseriti nel “Papello”, il documento con le richieste di Riina allo Stato per far cessare le stragi nel luglio ’92, consegnato nel 2009 da Massimo Ciancimino. Se si accertasse che proprio negli anni delle stragi nei palazzi governativi si discuteva di una tale possibilità starebbe a significare che il documento consegnato dal figlio di don Vito avrebbe un suo fondamento.
Un passaggio importante così come quello inerente la decisione presa nel '93 dal Guardasigilli dell'epoca, Giovanni Conso, di non rinnovare il carcere duro per circa 150 mafiosi.
Sentiti per due ore ciascuno dal procuratore di Palermo Francesco Messineo, dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dal pm Nino Di Matteo, presso Palazzo Giustiniani a Roma, Oscar Luigi Scalfaro, al tempo capo dello Stato, e Carlo Azeglio Ciampi, che era presidente del Consiglio, hanno affermato di non essere al corrente di una trattativa che aveva come oggetto l’allentamento del regime del 41 bis nelle carceri.
Ciampi ha anche confermato quanto aveva dichiarato in una intervista a "Repubblica" nei mesi scorsi dove sosteneva di avere temuto, dopo le bombe del ´93 di Milano e Roma, la realizzazione di un "colpo di Stato".



I numeri delle revoche del 41 bis
Sulle revoche dei 41 bis nei due anni delle stragi di mafia sempre in questi giorni si sta interrogando la Commissione parlamentare Antimafia. Dopo una tornata di audizioni e dopo che il Presidente Pisanu aveva posto, nel disinteresse dei più, la questione delle revoche con la sua relazione del maggio scorso ora la vicenda è diventata centrale.
Di fatto non c'è nessuna certezza e si continua ad indagare sul contesto in cui maturò, nel novembre del 1993, la decisione di revocare a 140 mafiosi il regime di carcere duro. Una questione che assume un rilievo maggiore se alle revoche si sommano altri provvedimenti amministrativi come i mancati rinnovi. La cifra, ha ricordato ieri il senatore del Pd Beppe Lumia, arriva a poco meno di 500. Il ministro Giovanni Conso, sia ai pm che in commissione, ha rivendicato la “scelta in solitaria”. Tuttavia di certo c'è che nel marzo del 1993 il Dap (Direzione amministrazione penitenziaria) chiedeva un abbandono del carcere duro per i mafiosi ed uguali indicazioni sarebbero arrivate dall'allora capo della Polizia, Vincenzo Parisi.
Su questi temi è stato interrogato nei giorni scorsi anche il capo segreteria di Conso, Giuseppe La Greca, che avrebbe fatto sorgere nuovi dubbi.
Non sarebbe infatti chiara quella che sia stata la trafila della documentazione e degli incartamenti che indussero Conso a fare la sua scelta. La Greca ha detto di aver percepito, durante i mesi in cui si preparava il 41 bis, una sorta di “resistenza” da parte di quegli organi interni del ministero che gestivano le carceri e cioè gli Affari Penali e il Dap. Lui però, ha assicurato, non vide nulla, non seppe nulla e non è in grado nemmeno di chiarire nulla. Per cercare di far luce la commissione Antimafia chiederà gli elenchi degli uomini di mafia interessati al 41 bis in quei mesi, il carteggio tra il ministero dell'Interno e quello di Grazia e Giustizia, i verbali delle riunioni del Comitato per l'ordine e la sicurezza che nel febbraio del 1993 già registravano perplessità.


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