Ancora una volta il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso torna a ribadire un concetto chiave: “Cosa nostra è stata spesso il braccio armato di certi poteri”. Il contesto è la commemorazione del presidente della regione Pier Santi Mattarella assassinato a Palermo domenica 6 gennaio 1980.
Anche in questo caso il delitto – spiega Grasso – “è di origine politico-mafioso, non solo mafioso, non solo politico. Anche se non si è potuto dimostrare”.
Se in parte questo è vero, all’ergastolo sono finiti esclusivamente i boss mafiosi, dall’altra non è difficile intuire quale fosse l’ambiente politico in cui è maturato l’omicidio.
La sentenza definitiva che ritiene colpevole il senatore a vita Giulio Andreotti fino al 1980 di partecipazione in associazione mafiosa, ritiene provati due incontri che il politico intrattenne con il capo di Cosa Nostra dell’epoca, Stefano Bontade, nella tenuta di caccia degli imprenditori catanesi Costanzo, nei quali venne discussa animatamente la pericolosa spinta innovativa che il giovane presidente della Regione voleva attuare nell’isola, soprattutto nello smantellamento del sistema politico-economico-mafioso concentrato in particolare sul grande affare degli appalti pubblici.
Secondo la ricostruzione Bontade chiese ad Andreotti di intervenire affinché Mattarella venisse fermato politicamente altrimenti sarebbero ricorsi alle cattive maniere. Visto come si sono svolti i fatti è da dedurre che non venne fatto nulla per salvare la vita al presidente, ( e nemmeno Andreotti profferì una singola parola dopo l’omicidio) il quale sapeva benissimo quale rischio stava correndo tanto da confidare, verso la fine di ottobre del 1979, alla sua collaboratrice Maria Grazia Trizzino:
“Questa mattina sono stato con il ministro Rognoni e ho avuto con lui un colloquio riservato su problemi siciliani. Se dovesse succedere qualcosa di molto grave per la mia persona, si ricordi questo incontro con il ministro Rognoni, perché a questo incontro è da collegare quanto di grave mi potrà accadere».
Le indagini nell’immediato vennero dirette altrove, sulla pista terroristica giacché quelli erano i tempi e soprattutto perché Mattarella si muoveva sul percorso del “compromesso storico”, già tracciato da Moro, con una notevole apertura nei confronti di Pio La Torre con cui condividerà l’amara sorte. Grasso ha ricordato il tentativo di depistaggio effettuato da Ciancimino, rivale politico di Mattarella, proprio in questo senso e per anni si indagò sul possibile ruolo del neofascista Giusva Fioravanti, ma non se ne venne mai a capo.
Il delitto Mattarella si infila come un anello nella solita catena dei misteri politico-criminali che costituiscono l’ossatura difettosa del nostro Paese e se dopo 31 anni non si potrà ottenere una giustizia processuale non è invece affatto impossibile cominciare a metabolizzare una verità storica e politica che almeno serva alla coscienza civile e culturale del Paese.
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