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sabato 12 febbraio 2011

La solitudine di un cronista minacciato



di Roberto Rossi - 12 febbraio 2011
Le riflessioni di Giuseppe Baldessarro, la replica del suo sindacato.


Questa è la storia di un giornalista che fa il suo lavoro. Lo fa bene, collabora con testate illustri, vince numerosi premi. Un professionista che sfida i poteri politici, economici e criminali della sua città. Additato come l’infame da alcuni politici, bersagliato da minacce di morte. Non è il solo. Almeno una ventina di giornalisti nella sua regione, la Calabria, sono stati minacciati di morte nell’ultimo anno. Ma Giuseppe Baldessarro, il protagonista di questa storia, non è mica tipo da sbandierare i suoi meriti. Anche sulle minacce di morte il suo pensiero è mitigato da una lucidità distante anni luce dal sensazionalismo in cui è pur facile cadere quando si parla di queste dinamiche. Non perché non dia peso al rischio, ma perché quell’atteggiamento gli permette di arrivare al cuore del problema, di evidenziare con autorevolezza quelli che sono i veri rischi che corre chi fa bene il suo lavoro in terra di ‘ndrangheta: «Le minacce – ha dichiarato due giorni fa durante un convegno di “Ossigeno per l’informazione”, l’osservatorio FNSI-OdG sui giornalisti minacciati – nel nostro mestiere non arrivano solo dalla criminalità, da quella ci difendiamo. Le minacce arrivano dal Sistema, arrivano dai politici che telefonano al direttore e insinuano sul tuo lavoro.»

Il vero problema, per Baldessarro, è la zona grigia, quella varia e potente umanità che trova conveniente convivere con la mafia, il fenomeno per cui «fare la cronaca in una terra come la Calabria – dice – vuol dire anche affrontare il confine tra il bene e il male.» Saperla riconoscere fra le fumosità che spesso la avvolge, nei discorsi pubblici e privati, nelle dichiarazioni indispettite, nelle delegittimazioni di cui spesso si fa autrice e portavoce. Questo uno dei compiti più difficili di un cronista che tutti i giorni racconta una realtà come quella calabrese.

Quindi, Baldessarro, rispondendo a una domanda, affronta un’altra questione. Quella della solitudine, dell’isolamento di cui un cronista minacciato e delegittimato spesso è vittima: «La Calabria – spiega il giornalista – non e' una terra normale, ci sono i massimi vertici della criminalità organizzata, la classe politica più corrotta al mondo, da qui passano tutti gli investimenti della mafia e la gente non è solidale con chi ne scrive. Purtroppo non abbiamo strutture che ci difendono: Ordine e sindacato sono assolutamente assenti.» Una denuncia puntuale. E un punto di vista, il suo, di sicuro non trascurabile. Di questo, della Calabria, dei giornalisti calabresi minacciati e delle prese di posizione del sindacato calabrese a riguardo, aveva parlato, sempre durante il convegno, anche Santo Della Volpe, giornalista del tg3.

Le dichiarazioni di Baldessarro vengono riprese dall’Ansa, quelle di Della Volpe no. Passa un giorno e sul sito del sindacato calabrese appare “La replica del segretario regionale Fnsi, Carlo Parisi, alle dichiarazioni di Giuseppe Baldessarro”: «Se la gente non è solidale con chi scrive – dichiara Parisi – bisognerebbe chiedersi se e quanto sia attendibile ciò che si scrive.» E ancora: «Ordine e sindacato dei giornalisti non sono circoli culturali dediti alla presentazione e alla promozione di libri». A quale libri vorrà riferirsi? Alla puntuale inchiesta su ‘ndrangheta e veleni di Baldessarro e Manuela Iatì? Al libro che ho scritto con Roberta Mani sui giornalisti minacciati in Calabria? Nessuno di questi libri è mai stato presentato né promosso da Ordine e sindacato, né è stato mai chiesto dagli autori di farlo.

Simili dichiarazioni sono venute in passato dallo stesso Parisi. In occasione della presentazione in Calabria del libro sui cronisti calabresi minacciati, il 27 luglio del 2010: «Quando si tratta di analizzare problematiche e vicende così delicate e difficili come le intimidazioni ai professionisti dell’informazione, abbiamo il dovere, etico e deontologico, di essere chiari. Non c’è spazio per il romanzo: chi è veramente minacciato, rischia la vita. Il resto è folklore». Intervistato dal “Manifesto”, in quella stessa occasione, aveva dichiarato: «I giornalisti qui non vivono nel terrore, prima non denunciavano neanche, oggi lo fanno ma qualcuno pensa quasi che sia una medaglia alla carriera.»

E ancora quando – all’indomani di un intervento di Roberta Mani, apparso sul “Quotidiano della Calabria”, sulle minacce ai giornalisti calabresi e a sostegno della manifestazione contro la ‘ndrangheta che quel giornale ha organizzato lo scorso settembre –  in un editoriale invita a non dare troppo clamore alle minacce ai giornalisti della sua terra per evitare l’effetto “emulazione”, al contrario di quanto affermano autorevoli osservatori, rappresentanti nazionali di categoria, e magistrati che invece sono convinti che parlare delle minacce ai giornalisti è necessario alla salvaguardia della loro incolumità.

Naturalmente non manca di sferrare il suo attacco a “fantomatici” professionisti dell’antimafia che si arricchirebbero alle spalle dei cronisti minacciati: «In una regione, come la Calabria, dove le buste contenenti proiettili e lettere minatorie sono, ormai, all’ordine del giorno in tutte le categorie sociali e professionali – scrive Parisi – si rischia di far cadere l’attenzione sul grave ed effettivo rischio che molti giornalisti corrono, quotidianamente, nello svolgere il mestiere di cronisti. In una situazione simile, purtroppo, solidarietà, marce, manifestazioni e girotondi servono a poco. Costituiscono, sì, attestazioni di solidarietà e d’affetto ai destinatari delle minacce, ma finiscono per fare il gioco sia di chi vuole alimentare il clima di terrore e la cultura del sospetto, sia di chi costruisce le proprie fortune, economiche e professionali, grazie al professionismo dell’antimafia.

Il caso Terry Jones, il reverendo d’oltreoceano che aveva annunciato il rogo del Corano, dovrebbe averci insegnato qualcosa. Ammesso che ce ne fosse bisogno. A volte, amplificare certe notizie serve solo a portare alla ribalta pazzi esaltati come il pastore americano o, come nel caso del “tormentone” minacce in Calabria, a far credere a chi le manda che basta una cartolina per fermare la libertà di stampa.» (“E ora di smascherare i soliti ignoti” (13/09/10). Ma torniamo all’oggi. Alla nota apparsa ieri. Per sferrare l’attacco a Baldessarro, Parisi chiama in causa le decine di giornalisti precari che operano in Calabria, accusandolo direttamente in quanto ex componente del Cdr del suo giornale: «Compito dell’Ordine dei giornalisti e del sindacato – sottolinea il segretario del sindacato dei giornalisti della Calabria – è quello di rappresentare e dare voce alla categoria.

Al sindacato, in particolare, competono la tutela e la difesa dei giornalisti e, dunque, del loro sacrosanto diritto al lavoro in condizioni dignitose che, guarda caso, proprio nel giornale in cui lavora Baldessarro non vengono contrattualmente rispettate. Anzi, a corrispondenti e collaboratori, spesso, vengono addirittura negate. Al sindacato dei giornalisti non spetta, né avremmo il potere di farlo, il compito di eliminare la «zona grigia». Il nostro compito è, semmai, quello di eliminare la «zona nera», quella del lavoro sommerso, non tutelato, non riconosciuto, ampiamente presente, purtroppo, nella nostra regione e marcatamente riscontrabile, lo ripeto, anche nel giornale del collega Baldessarro. Una realtà inaccettabile che lo stesso Baldessarro, in qualità di componente del Comitato di redazione del Quotidiano della Calabria (dal giugno 2009 al febbraio 2010), ovvero di sindacalista, avrebbe dovuto denunciare e combattere. A meno che Baldessarro non ritenga che professionalità, autorevolezza, indipendenza e dignità dei giornalisti siano gentili concessioni degli editori.»

Sia una reazione scomposta, sia il voler scatenare contro Baldessarro i cronisti precari del suo giornale, o sia una legittima difesa all’accusa di immobilismo di fronte al caso delle decine di giornalisti minacciati in Calabria, lo facciamo decidere a chi sta leggendo questa storia. Decidano anche, i lettori, se le analisi e le prese di posizione del segretario regionale dei giornalisti calabresi sul tema dei cronisti minacciati in Calabria siano corrette e limpide. A me corre l’obbligo di riportare la replica di Baldessarro, che il sito del sindacato calabrese ha pensato bene di censurare: «Dispiace la reazione di Carlo Parisi, segretario del sindacato al quale sono da sempre iscritto – ha affermato all’Ansa il giornalista – dispiace anche perché Parisi ben conosce la mia storia e la mia leale schiettezza. Non posso che prendere atto delle sue dichiarazioni. A cui aggiungo solo un’amara considerazione: da oggi come professionista di questa regione mi sento un po’ più solo».

Tratto da:
liberainformazione.org


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