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sabato 19 febbraio 2011

Un'internazionale antimafia

di Nicola Tranfaglia - 18 febbraio 2011
Uno scrittore italiano, che oggi definiremmo di centrodestra e che, durante la dittatura fascista, mantenne una posizione dura contro la sinistra e benevola con gli altri, Giuseppe Prezzolini, fondatore e direttore della rivista La Voce che raccolse intorno a sé alcuni tra i grandi e piccoli intellettuali del tempo, scrisse nel 1910, pressappoco un secolo fa, parole che a me sembrano adeguate ai tempi di oggi: “La democrazia presente non contenta più gli onesti.
    
Essa non rappresenta ormai che un abbassamento di ogni limite, per far credere di aver innalzato gli individui: mentre non si è fatto che l’interesse dei più avidi e più prepotenti. Da per tutto è lo stesso fenomeno. Si veda, ad esempio, nel campo degli studi, la minore severità di criteri intellettuali... La severità per il minimo necessario di coerenza e di onestà in politica è pure decresciuta. Nelle elezioni trionfa il danaro, il favore, l’imbroglio; ma non accettare tali mezzi è considerato come ingenuità imperdonabile... Tutto cade. Ogni ideale svanisce. I partiti non esistono più, ma soltanto gruppetti e clientele. Dal Parlamento il triste spettacolo si ripercuote nel Paese. Ogni partito è scisso... Tutto si frantuma”.

Parole valide per il passato ma, a quanto pare anche per il futuro, e dette da uno scrittore molto moderato e naturalmente vicino alla destra e non alla sinistra, per chi dia importanza a queste etichette in campo storico e letterario. Questo, dopo un secolo di storia, è dunque l’interrogativo che dobbiamo porci oggi, nel 2011, e che il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia con lo storico Carlo Marino dell’Università di Enna, ci pongono in un libro che uscirà la settimana prossima, edito da Bompiani, e che vorrei tanto che i giovani leggessero perché si stanno affacciando al lavoro e alla propria vita. I due saggi che compongono il volume Manifesto per un’Internazionale Antimafia (Bompiani editore, pp. 415, 22 euro) disegnano con chiarezza qual è il problema che abbiamo oggi di fronte nell’Italia di Berlusconi e del suo populismo autoritario.

Forniamo ai lettori alcuni dati impressionanti sul peso economico delle mafie nel mondo. “Secondo le stime della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale – scrive Carlo Marino nel suo ampio saggio – l’economia sommersa ha raggiunto già nel 2001, dieci anni fa, il 20-25 per cento del Pil globale, mentre si stima che le transazioni finanziarie legate al riciclaggio si attestino oggi al livello impressionante tra il 2 e il 5 per cento del Pil globale, circa 1,5 milioni di miliardi di dollari”. Quanto al potere attuale delle mafie (parliamo, come nel libro di Marino e Ingroia, delle associazioni mafiose Cosa nostra siciliana, ’Ndrangheta calabrese, Camorra campana, Sacra corona unita pugliese, e di tutte le loro diramazioni internazionali citate da Antonio Forgione, ex presidente della commissione Antimafia durante il secondo governo Prodi).

Ma, prima di concludere l’articolo, vorrei ricordare quel che dice con grande chiarezza il procuratore aggiunto della Procura di Palermo, Antonio Ingroia, che è autore del secondo saggio di questo libro: “A vent’anni dalle strage di Capaci (Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e la scorta) il 19 maggio 1992 e di via D’Amelio (Paolo Borsellino e la sua scorta) nel luglio 1992, due mesi dopo, è maturata la nuova fase evolutiva della mafia, entrata in un processo di spiccata finanziarizzazione. Il che reca con sé almeno due conseguenze. In primo luogo, la “delocalizzazione” di Cosa nostra (e delle altre organizzazioni mafiose), non più padrona assoluta del territorio, comporta una sua maggiore mobilità sul territorio nazionale e internazionale, una sua maggiore competitività sui mercati illeciti internazionali. È la consapevolezza di ciò che ha probabilmente ispirato i più recenti progetti della direzione strategica di Cosa nostra di riaprire i canali di collegamento Oltreoceano, soprattutto con la mafia italo-americana, per cercare di riconquistare un ruolo di protagonista nei grandi traffici illeciti, oggi saldamente in mano alla ‘Ndrangheta calabrese. In secondo luogo, il diminuire complessivo delle entrate degli ultimi anni ha fatto sì che nell’economia mafiosa abbia acquisito sempre maggior peso il ruolo dei “colletti bianchi”, quel ceto di professionisti della finanza, di consulenti del riciclaggio, dai quali dipende la buona riuscita del reimpiego degli investimenti e del denaro sporco introitato dalla mafia negli anni d’oro della grande accumulazione illecita soprattutto proveniente dai traffici di stupefacenti, quando la mafia vi aveva un ruolo leader a livello mondiale”.

E l'appello dei due autori per un’iniziativa culturale che può avere successo soltanto se ha il sostegno dell’opinione pubblica nazionale e internazionale: “Un sistema mafioso sempre più internazionale può essere fronteggiato soltanto con un movimento antimafia internazionale, un movimento antimafia che si traduca in iniziative internazionali per ottenere dalle Istituzioni internazionali precisi impegni e atti concreti. Un’antimafia internazionale che, prima ancora che istituzionale, sia sociale”. Escludiamo l’Italia che è nelle condizioni peggiori per farlo, e l’Europa che, precisa Marino, è piuttosto un’araba fenice. E allora? Almeno discutiamone e poi si vedrà.

Tratto da:
Il Fatto Quotidiano


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